Anche in Germania cresce il dibattito sul numero delle vittime del coronavirus, molto basso in confronto a quello degli altri Paesi: il tasso di letalità, sia pur in aumento, è di poco superiore all'1%. Nel resto dell'Unione europea in media si aggira intorno al 7,8%, in Italia supera il 12% (circa 14 mila vittime e 115 mila malati). Secondo gli ultimi dati della Johns Hopkins University, su oltre 84 mila contagi, sono circa mille i decessi registrati nella Repubblica federale. Un numero che probabilmente aumenterà, come ha detto lo stesso presidente del Robert Koch Institut, Lothar Wieler, "anche se è ancora del tutto da vedere come il virus si svilupperà".
A detta degli esperti, la differenza il "caso tedesco" in parte è spiegabile con il fatto che la Germania ha una situazione diversa dal punto di vista demografico e dal punto di vista di tenuta dei sistemi sanitari. Ad incidere sarebbe soprattutto l'età degli ammalati: tra i contagiati "comprovati" - ossia a cui si è potuto fare i tamponi - è evidente che l'età media è più alta in Italia che in Germania, 63 anni contro 45, come reso noto il demografo tedesco Andreas Backhaus.
Il dato salta agli occhi anche nel confronto tra il nostro Paese e la Corea del Sud, dove solo il 9% delle persone con l'infezione da Coronavirus aveva più di 70 anni, contro il 40% degli ultrasettantenni registrati in Italia. Proporzioni che cambiano di poco nella statistica del Koch Institut: calcolando i contagiati dai 60 anni in su, si tratta del 19% in Germania, la stragrande maggioranza aveva tra i 35 e i 59 anni. C'è poi l'aspetto sociale da considerare: in Cina l'80% dei contagi si è avuto all'interno delle famiglie, soprattutto quelle numerose. Anche l'Italia, come si sa, è caratterizzata da un'organizzazione familiare "stretta".
In Germania, la percentuale delle persone adulte che vivono con i genitori è la metà di quelli che rimangono in famiglia in Italia. Ovvia la conseguenza: figli e nipoti, poco sintomatici o asintomatici, che contagiano genitori e nonni. Questi ultimi soprattutto, sono molto più a rischio. Infine, c'è il tema tamponi: sia le autorità sanitarie tedesche che quelle dell'Oms chiamano in causa i test a tappeto fatti in Germania, "dove c'è una strategia nel realizzare i test sul Covid-19 molto aggressiva", dice il coordinatore per l'emergenza dell'Oms, Michael Ryan.
Grazie a questa pratica, in Germania si individuano prima le persone asintomatiche oppure con sintomi lievi, pertanto la diffusione presso i soggetti a rischio sarebbe più contenuto. E poi in certi Paesi, si fanno anche i tamponi post-mortem, in altri no, e anche questo cambia le statistiche: ovvero, forse non tutti i morti da coronavirus sono stati individuati. "Il motivo per cui abbiamo una casistica così bassa è ampiamente spiegabile: facciamo moltissima diagnostica di laboratorio": conferma il virologo più ascoltato in Germania in tempi di coronavirus, Christian Drosten.
Ogni settimana viene effettuato oltre mezzo milione di tamponi, gli fa eco Heyo Kroemer, il presidente del consiglio della Charitè il maggiore ospedale berlinese. Ultimo argomento, quello della tenuta dei rispettivi sistemi sanitari. Più si diffonde la pandemia, più le strutture sono sovraccariche, più è difficile eseguire i test anti-Covid-19. Dice ancora Michael Ryan: "Se gli ospedali sono travolti dal numero dei pazienti ricoverati, è evidente che le possibilità di offrire una cura adeguata si riducono".
È la Welt a fare due conti a questo proposito: "L'Italia, a fronte di 60 milioni di abitanti, prima della crisi aveva 5000 posti in terapia intensiva. La Gran Bretagna, con circa 66 milioni di abitanti, ne ha 4100. La Germania, con circa 80 milioni di abitanti, aveva in partenza 28 mila posti in terapia intensiva. In questi giorni, la capacità in terapia intensiva è stata aumentata, su decisione del governo di Angela Merkel e dei vari Laender, a 40 mila. Alla fine del percorso, dovrebbero essere addirittura 56 mila.