Secondo ultime stime la maggioranza degli ammalati di Coronavirus in Israele apparterrebbe alla comunità degli ultra ortodossi, più vulnerabili in considerazione del loro stile di vita. La maggior parte non legge i giornali in generale, non guarda la televisione e rifugge da Internet. Hanno famiglie numerose, con tanti figli, pregano nelle loro congregazioni tre volte al giorno e, in alcuni luoghi, vivono in quartieri affollati governati dalle leggi della Torah e dalla parola dei rabbini. Per questo sono molto esposti al contagio.
Da un focus sulla città di Bnei Brak, non lontana da Tel Aviv, una delle principali roccaforti degli ultra ortodossi nel paese, è emerso che qui il tasso di contagio (calcolato sui test effettuati) è del 34%, un terzo della popolazione totale, contro il 6% di Tel Aviv e il 10% di Gerusalemme. Secondo i dati, 505 residenti della città sono stati infettati dal virus, rispetto ai 568 di Gerusalemme, dove la popolazione è quasi cinque volte più numerosa.
Un servizio trasmesso domenica dal canale in lingua ebraica Channel 12 ha evidenziato come oltre la metà dei pazienti ricoverati per Coronavirus presso il Tel Ashomer Sheba Medical Center, il più grande ospedale di Israele, provenga appunto dalla comunità ultra ortodossa. In Israele si contano 4.831 infettati tra i quali 83 in gravi condizioni e 17 vittime, ma i numeri potrebbero essere ben più gravi perchè si ignora quale sia l'effettiva diffusione nelle comunità degli ebrei ortodossi.
Circa il 12% della popolazione israeliana è Haredim, come sono conosciuti gli ultra ortodossi e il loro numero è in crescita, con un tasso di natalità di circa 7 bambini per donna. Se il trend continuasse, gli Haredim saranno il 32% della popolazione israeliana nel 2065. Non appartengono tutti alla stessa setta: ci sono i Chasidim, i Sefaradim, i Misnagdim e tra questi grandi gruppi ci sono numerosi altri più piccoli e sette, con forti differenze nelle loro credenze, politica e stili di vita. Ma hanno tutti in comune, la vita nelle stesse zone, nelle stesse comunità chiuse.
La polizia sottolinea la mancata osservanza, da parte di queste comunità o, perlomeno, di gran parte dei loro membri, delle restrizioni imposte dal governo per frenare i contagi. Nei giorni scorsi, e in diverse occasioni, la polizia israeliana è dovuta intervenire per bloccare le proteste di gruppi di questa comunità che avevano violato il divieto di aggregazioni superiori a 10 persone o che circolavano indisturbati senza alcun motivo essenziale, operando anche arresti.
Sabato scorso gli agenti sono dovuti intervenire proprio nella città di Bnei Brak, la più colpita dall'epidemia, per disperdere centinaia di persone che si erano riunite senza alcuna precauzione per prendere parte a un funerale. Domenica le forze dell'ordine hanno usato un drone, un elicottero e persino armi non letali per impedire a un gruppo di ultra ortodossi di riunirsi in un sobborgo non lontano da Gerusalemme.
Nella città santa, nel quartiere ortodosso di Mea Shearim, la popolazione si oppone quotidianamente alle restrizioni imposte. Un gruppo di giovani ha avuto uno scontro con la polizia urlando "nazisti andate via". La polizia li ha bloccati e ha comminato diverse multe, arrestando alcuni di loro.
Le autorità sanitarie israeliane, al cui vertice c'è il ministro Yakoov Litzman, un ortodosso Haredim, hanno evidenziato come nell'ambito di queste comunità il contagio avvenga anche con maggiore facilità sia perché spesso vivono in case povere e affollate sia perché essi sono soliti riunirsi in grandi gruppi, per le preghiere, almeno due o tre volte al giorno. Non solo: gli Haredim non usano smartphone, non si informano se non su questioni religiose.
Secondo molti analisti il problema risiede principalmente nel fatto che molti ultra ortodossi non riconoscono le autorità laiche israeliane e non accettano pertanto le sue decisioni e imposizioni, fidandosi solo delle loro autorità religiose. Polemiche nel Paese anche nei confronti del ministro Litzman, ritenuto non adeguato a ricoprire la carica in questo momento di crisi proprio per la sua appartenenza alla comunità Haredim, anche se il "modello Israele" nel contenimento dell'epidemia è stato additato come esempio positivo da diverse organizzazioni internazionali.
A causa dell'eccessivo diffondersi della malattia soprattutto all'interno delle comunità ultra ortodosse, il rabbino Chaim Kanievsky, capo della comunità lituana, ha chiesto al rabbino di Bnei Brak di non consentire più le aggregazioni di più di 10 persone in ottemperanza alle decisioni governative. Una inversione di tendenza la sua.
Solo pochi giorni fa, infatti, lo stesso rabbino Kanievsky aveva ordinato la continuazione di tutte le normali attività, inclusa quelle della scuole talmudiche, in contrasto alle direttive del ministero della salute.
Intanto le autorità israeliane, stando a quanto riferiscono fonti di stampa locale, starebbero valutando un ulteriore inasprimento delle misure soprattutto in vista della festa di Pesach (la pasqua ebraica) durante la quale le famiglie sono solite riunirsi in grandi tavolate e con con gran numero di persone. Alcuni rabbini hanno autorizzato l'uso degli smartphone per la cena di Shabbat e per Pesach, per collegarsi con i parenti ed evitare riunioni di troppe persone.
Il problema del contenimento, però, non riguarda solo gli ultra ortodossi, ma anche la minoranza araba. In molti quartieri arabi di Gerusalemme est, come Beit Hanina, la vita scorre normalmente come se non ci fosse l'epidemia in corso. Solo in alcuni supermercati controllano la temperatura prima di entrare, ma molta gente è in giro come se nulla fosse.