Mentre la pandemia di coronavirus accelera a livello mondiale, le misure messe in campo finora per contenere i danni all’economia globale non sembrano sufficienti a rispondere alla crisi che si sta delineando.
L’impatto del coronavirus richiede nuove iniziative e ambizioni pari a quelle che hanno dato vita, nel ventesimo secolo, al Piano Marshall, e al New Deal, secondo il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, che sprona a un’azione ora per scongiurare il peggio: con la situazione che precipita, la possibilità di una ripresa a “V” dell’economia appare irrealizzabile, nella previsione di Gurria, mentre più probabile è un corso più lento dell'economia, a “U”, se vengono prese le decisioni giuste adesso.
Nonostante un impegno a fare “tutto il necessario” da parte dei leader del G7, le mosse messe in campo finora da governi e banche centrali non hanno convinto i mercati: il rischio, avverte la managing director del Fondo Monetario Internazionale Kristalina Georgieva, è quello di una recessione anche peggiore di quella del 2009, all’indomani della crisi finanziaria globale.
La terza grande crisi economica finanziaria e sociale del ventunesimo secolo appare di tipo diverso, secondo le parole del ministro delle Finanze di Tokyo, Taro Aso, che chiede ai membri del G20 di agire senza esitazioni. Un’ulteriore incognita arriva dalla rivalità tra le due grandi economie mondiali, Cina e Stati Uniti, alla prova del coronavirus.
La superpotenza a stelle e strisce è in allarme per il “virus cinese” - come lo ha definito il presidente Usa, Donald Trump, suscitando lo sdegno e la controffensiva di Pechino - mentre la potenza emergente sembra allontanarsi dall’incubo dell’epidemia e fa i conti con le ferite lasciate dal virus all’economia interna, mai così giù negli ultimi trenta anni. Il duello appare destinato a continuare. “La guerra è ormai dichiarata. C’è in corso un cambiamento strutturale delle relazioni. Il gioco sarà molto più complesso, con cambiamenti sociali importanti nei prossimi anni”, spiega ad AGI Paolo Borzatta, senior partner di European House Ambrosetti.
Gli scenari post-pandemia appaiono incerti anche per l’Unione Europea, su cui incombe lo spettro della recessione. La Banca Centrale Europea ha messo in campo il quantitative easing da 750 miliardi di euro e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato la sospensione del patto di stabilità.
“La quantità di misure che sono state messe in campo dalla Bce nelle ultime settimane sono molto ingenti. Al di là dell’infortunio di comunicazione”, della presidente Christine Lagarde, “episodio che si può anche circoscrivere, sicuramente daranno un forte aiuto sul fronte della liquidità, dei finanziamenti al sistema bancario e all’economia reale”, commenta Angelo Baglioni, docente di Economia Politica presso l’Università Cattolica di Milano. Il bazooka della Bce basterà per scongiurare la crisi in Europa? “Nel comunicato si parla di flessibilità”, prosegue interpellato dall'AGI, “ma bisognerà vedere nelle prossime settimane se effettivamente questa flessibilità verrà usata, e in che misura, e se si riuscirà ad allontanarsi dal principio della capitale key oppure no”.
Chi appare in vantaggio, per il momento, sono i Paesi “con le spalle larghe”, come li definisce Alberto Forchielli, fondatore di Mandarin Capital Partners, ovvero Giappone, Cina, Usa e Germania. “Sono preoccupato per i Paesi marginali”, spiega Forchielli, “perché potrebbero subire perdite. I grandi sosterranno le imprese perché hanno le risorse. Un Paese come l’Italia non potrà: c’è un rischio di grande moria delle imprese, e le imprese morte non resuscitano”.
Un soccorso, nella forma di un Piano Marshall da parte di Stati Uniti o Cina all’Europa appare, però, improbabile, nella situazione attuale, nonostante lo scenario sia in fase di peggioramento, secondo le parole dello stesso segretario generale dell’Ocse. “Il gioco è molto più complesso: Quando gli Usa fecero il piano Marshall erano la potenza egemone; oggi la Cina entra in un grande gioco mondiale molto complesso in cui, sicuramente, a ogni sua azione ci sarà una reazione degli Stati Uniti”, riprende Borzatta, che tende a escludere l’intervento cinese.
Nell’incertezza, Forchielli vuole conservare un certo ottimismo. “Ci sarà un forte aumento delle spese pubbliche unitamente a un forte sostegno finanziario con crediti garantiti per il settore privato. Sotto questo aspetto non c’è molta differenza con la crisi del 2009. Ossia, sostegno a imprese, grande liquidità e aumento spese pubbliche, forse ancora superiore questa volta: la risposta sarà più tempestiva, grazie alla lezione imparata nel 2009”, è la previsione all’AGI del fondatore di Mandarin Capital Partners.
Non c’è, però, da scommettere neppure su un ruolo importante degli Stati Uniti nel post-pandemia. Al di là del deterioramento dei rapporti con la Cina, continua Forchielli, “vedo Trump indebolito da questa situazione perché apre scenari inediti: è possibile un’uscita di Sanders, e una rapida affermazione di Joe Biden, come suo sfidante. In crisi economica, le elezioni abbassano le probabilità di rielezione. Questo coronavirus ha sparigliato le carte sul tavolo”.
Un intervento esterno non è auspicabile neppure per l’economista dell’Università Cattolica. “L’Ue ha risorse per fare fronte alla situazione. Il salto è da fare all’interno dell’Ue. invece che procedere con risorse e iniziative dei singoli Paesi occorre passare a iniziative a livello comunitario”, spiega l’economista. “Il bilancio dell’Ue dovrebbe farsi carico di programmi di assistenza per andare incontro a imprese e settori che stanno sfiorendo di più (trasporti, turismo, logistica e tante piccole e medie imprese). Ci vuole qualcosa di più come Europa nel suo complesso, sul bilancio dell’Unione Europea”.