"In questo momento di difficoltà per il Paese arriva una buona notizia: il nostro connazionale Luca Tacchetto è libero. L'ho appena sentito al telefono e sta bene. Ho sentito anche il padre". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in un post su Facebook in cui ha allegato la foto del giovane da poco liberato. "Luca era stato rapito piu' di un anno fa in Burkina Faso da una cellula jihadista.
Qui lo vedete in foto, scattata poco fa (insieme alla canadese Edith Blais, anche lei liberata). Grazie a tutti gli apparati dello Stato che hanno lavorato per riportarlo a casa. Continuiamo a dare il massimo ogni giorno. L'Italia va avanti, a testa alta", ha scritto il capo della Farnesina.
Dal rapimento alla liberazione
Luca Tacchetto e Edith Blais erano scomparsi il 16 dicembre 2018 e di loro non si è saputo nulla per 15 mesi, fino ad oggi, giorno in cui hanno ritrovato la libertà.
L’italiano e la sua amica canadese avevano raggiunto il Burkina Faso in macchina – partendo dall’Italia – dopo aver attraversato la Mauritania e il Mali, con lo scopo di raggiungere il Togo, ma la loro corsa si era fermata proprio in Burkina Faso.
Luca e Edith erano diretti a Kpalimé, una cittadina del Togo, dove avrebbero dovuto unirsi a un’Organizzazione non governativa che si occupa di progetti ambientali. In Togo, tuttavia, non ci sono mai arrivati. L’ultima volta sono stati visti in una città del sud-ovest del Burkina Faso, Bobo-Dioulasso.
A raccontarlo è stato un cittadino francese, Robert Guilloteau, che li ha ospitati a casa sua il 15 dicembre 2018. I due giovani sono poi ripartiti la mattina del 16 dicembre per recarsi alla moschea di Bobo-Dioulasso.
Da lì sarebbero ripartiti per la capitale del Burkina Faso, sempre secondo il racconto del francese, dove avrebbero dovuto fare i visti regolari per il Togo e il Benin. Sempre secondo il racconto di Guilloteau i visti in possesso dei due giovani duravano solo tre giorni, probabilmente il tempo necessario per attraversare il Paese. Da quel giorno non si era saputo più nulla.
Molte le ipotesi che si sono susseguite nel tempo. Si ipotizzava un rapimento da parte di terroristi, che infestano tutta la sub-regione, oppure da criminali comuni. Ma non vi è stata alcuna rivendicazione da parte di gruppi anche solo legati al terrorismo locale. Almeno le autorità competenti non hanno mai detto nulla sulla circostanza. Così come non sarebbe mai arrivata una richiesta di riscatto da pare di criminali comuni. Insomma, questa vicenda è sempre stata avvolta dal mistero.
Il viaggio intrapreso dai due giovani ha toccato aree del continente africano molto pericolose. Tutta la fascia del Sahel –cioè dalla Mauritania al Mali, dal Niger al Ciad, compreso il Burkina Faso – è un’area di presenza terroristica e di continuo flusso migratorio dalla fascia sub-sahariana dell’Africa verso, appunto, il Sahel e poi la Libia.
Il Burkina Faso, che era rimasto immune da fenomeni terroristici, negli anni è diventato un Paese a rischio e la sua pericolosità è cresciuta, tanto da essere piombato nel caos. La pericolosità del Paese, che sembrava essere “relegata” al Nord, negli ultimi due anni si è estesa anche in altre regioni, comprese quelle del Sud, proprio al confine il Togo e a Ovest al confine con il Mali. Il Burkina Faso, infatti, è in perenne stato di emergenza.
Nel dichiarare l’emergenza, oltre un anno fa, il presidente del Burkina Faso, Roch Marc Kaboré, la motivava così: “Riteniamo molto insicure le regioni del nord come quelle meridionali al confine con Togo e Benin. I nostri soldati non riescono ancora a gestire il raggio d’azione dei militanti islamici che sta diventando sempre più grande”. Da allora, era il 31 dicembre del 2018, la situazione non è migliorata, anzi è peggiorata. Il Burkina Faso sembra essere fuori controllo.
Con la liberazione di Luca ed Edith tra Niger, Mali e Burkina Faso sono ancora quattro le persone nelle mani dei jihadisti. Uno di questi è un italiano, padre Gigi Maccalli rapito in Niger il 17 dicembre 2018. Dopo 18 mesi di lui non si sa nulla. Le ultime notizie che si hanno del sacerdote italiano risalgono a più di anno fa quando il vescovo della diocesi di Niamey, monsignor Djalwana Laurent Lompo, disse che il missionario italiano stava bene e che era vivo. Senza però dire da dove gli derivasse questa certezza, senza spiegare su quali elementi fondasse questa certezza, anche per “motivi di sicurezza”.
Il prelato, all’epoca, disse che la “prima preoccupazione delle autorità del Niger, ma anche dell’ambasciata italiana a Niamey, è l’incolumità di padre Gigi, e ogni azione che verrà intrapresa non metterà in pericolo la sua vita”. Dal rapimento dei padre Maccalli sono passati 18 mesi.