Dopo il via libera della Duma, anche il Consiglio della Federazione (la Camera alta del Parlamento russo) ha approvato a stragrande maggioranza il pacchetto di emendamenti alla Costituzione che, tra le altre cose, permetterà a Vladimir Putin di rimanere presidente della Russia ancora per 16 anni, fino almeno al 2036, quando avrà ormai 84 anni, di cui 36 passati al comando del Paese.
La modifica più discussa, quella proposta ieri da una delle icone dell’Urss, la prima donna nello Spazio e deputata di Russia Unita, Valentina Tereshkova, prevede l’azzeramento dei mandati presidenziali, su cui comunque rimarrà il tetto massimo di due consecutivi. L’idea era già stata accolta, con ostentata cautela, da Putin: intervenendo in aula alla Duma, si era detto favorevole, a patto che ci fosse il consenso della Corte costituzionale, il cui verdetto a molti appare scontato.
Da quando a metà gennaio, a sorpresa, il governo di Dmitri Medvedev si era dimesso in blocco e il presidente aveva avanzato una serie di radicali cambiamenti alla Carta costituzionale (mai modificata dalla sua adozione nel 1993), analisti e politici avevano formulato le più disparate ipotesi di riassetto del sistema, che potesse permettere una transizione controllata del potere: nel 2024, Putin terminerà il suo secondo mandato consecutivo e non potrebbe ricandidarsi. In assenza di un vero e proprio delfino al momento, secondo diversi osservatori Vladimir Vladimirovich si stava ritagliando un nuovo ruolo che gli consentisse di continuare a guidare il Paese anche senza sedere al Cremlino. Tra le ipotesi vi erano quelle di rimanere capo di Stato ma di un’entità nazionale 'allargata', con un'annessione della Bielorussia, o di guidare il Consiglio di Stato, un organo meramente consultivo oggi ma che sarà potenziato dalla nuova Costituzione. Secondo il direttore del Carnegie Center di Mosca, Dmitri Trenin, questi piani, valutati in modo serio inizialmente da Putin, “non hanno trovato l’appoggio di quelli che lo circondano, i quali temono di perdere le loro posizioni”.
L’ampia riforma, che sarà sottoposta a referendum popolare il 22 aprile, prevede anche un rafforzamento delle prerogative del presidente, del Parlamento e delle misure sociali, rende incostituzionali i matrimoni omosessuali e inserisce per la prima volta nella storia russa la parola Dio nella Costituzione.
Per giustificare il perpetuarsi del suo potere, Putin e i suo fedelissimi - come il sindaco di Mosca, Serghei Sobyanin, e il presidente della Duma, Viacheslav Volodin - fanno perno sulla necessità di “stabilità” nazionale contro nemici “interni ed esterni”, che “cercano di minare l’indipendenza e l’autonomia” della Russia. Per i detrattori del Cremlino, come l’oppositore Aleksei Navalny, si tratta di un “colpo di Stato” con cui Putin dimostra di voler rimanere presidente a vita, anche se in passato aveva dichiarato il contrario. La decisione del Comune di Mosca di vietare, fino al 10 aprile, gli eventi con oltre 5 mila persone per impedire la diffusione del nuovo coronavirus è stata letta come il tentativo di evitare che l’opposizione possa scendere in piazza contro la riforma costituzionale.
L’approvazione dell’emendamento Tereshkova traccia uno scenario possibile, ma non scontato, per il 2024. Putin non è solito scoprire in anticipo i suoi piani e non lo farà neppure questa volta. Non è detto che non sorprenda di nuovo tutti decidendo, a tempo debito, di non sfruttare l’opportunità di ricandidarsi.
Secondo Nezygar, uno dei canali Telegram più seguiti sulla politica russa, inserire il tema del proseguimento della presidenza Putin nella riforma costituzionale ha come obiettivo più immediato “mobilitare un elettorato apatico e impaurito per il coronavirus”: l’affluenza al referendum di aprile sarà decisiva per confermare la piena legittimità del presidente, prima e dopo il 2024. Ora gli occhi sono puntati sulla Corte costituzionale, da cui deve arrivare il via libera agli emendamenti; nel 1998, si era espressa contro l’azzeramento dei mandati, di fatto proibendo al primo presidente della Russia, Boris Eltsin, di candidarsi nel 2000. Ma 11 dei 15 giudici che compongono la Corte costituzionale oggi, compreso il presidente Valery Zorkin, sono stati nominati dietro suggerimento di Putin; difficile che vogliano mettersi contro il leader del Cremlino.