Il timore che il coronavirus possa “sbarcare” in Africa tiene con il fiato sospeso il mondo. La ragione è evidente: un sistema sanitario per niente adeguato ad affrontare un’epidemia che ha una velocità di contagio elevata, anche se la percentuale di letalità è bassa. Questa, tuttavia, potrebbe aumentare viste le condizioni in cui vive più del 40 per cento della popolazione africana, cioè sotto la soglia di povertà, con gravi deficit nutrizionali.
Per ora, tuttavia, il continente africano non è stato colpito dall’epidemia. Solo un caso conclamato – un cittadino cinese in Egitto – e nessuno dei 200 casi sospetti è stato confermato. L’epidemia in corso in Cina ha già avuto conseguenze certe, invece, sull’economia africana. Pechino è il maggior investitore in Africa e, anche, il maggior importatore di materie prime. Le proiezioni contenute in un recente rapporto del Supporting Economic Transformation (3 febbraio 2020) parla di 4 miliardi di dollari mancanti all’appello nell’export dell’Africa subsahariana.
Non molto se si guarda all’impatto sull’economia globale – meno 360 miliardi di dollari – ma estremamente significato per quanto riguarda l’Africa. Occorre sottolineare che l’Oms ha dichiarato l’emergenza il 28 gennaio, quindi i numeri potrebbero crescere in maniera esponenziale. Sul versante sanitario si registra il fatto, reso noto durante la riunione dei ministri della Sanità dell'Unione Africana dal direttore generale dell'Organizzazione mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus, che in numerosi paesi africani manchino gli apparecchi per l'assistenza respiratoria. In molti paesi, infatti, i reparti di terapia intensiva sono solo sulla carta, non nella realtà.
Non è solamente una questione di strutture, ma anche di capacità diagnostica oltre alla difficoltà delle popolazioni che vivono in aree rurali a raggiungere gli ospedali. La presenza di cittadini cinesi, infatti, non è concentrata solo nelle aree urbane. Vi è, inoltre, un'alta mobilità di persone tra Cina e Africa - si parla di 1,2 milioni di lavoratori cinesi nel continente (dato sottostimato) - e i contagi potrebbero esserci stati anche se non diagnosticati
I Paesi più esposti
C'è, nonostante tutto, un dato positivo: all'inizio dell'epidemia solo due paesi erano in grado di individuare il coronavirus, ora sono 26. Ma l'Oms, comunque, ha lanciato un appello per reperire oltre 600 milioni di dollari. Fondi che dovrebbero aiutare, in particolare, 13 paesi prioritari: Angola, Algeria, Etiopia, Costa d'Avorio, Ghana, Kenya, Mauritius, Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Sudafrica, Tanzania, Uganda, Zambia. Tutti paesi che hanno forti relazioni economiche e commerciali con Pechino e con una presenza di cittadini cinesi considerevole. Basti pensare che il traffico aereo con la Cina negli ultimi dieci anni e' cresciuto del 600 per cento.
Se si guarda alle materie prime – come scrive africarivista.it - si registra un -14 per cento per il petrolio in Algeria, Angola, Congo, Gabon, Nigeria. Un -8 per cento per i minerali di ferro di Guinea, Mauritania, Nigeria, Sudafrica. Meno 7 per cento per il rame in Repubblica democratica del Congo, Uganda e Zambia. In quest’ultimo paese il rame è la principale voce tra le esportazioni. Pochi numeri che rendono bene il quadro della crisi economica in cui versa il continente.
E la situazione è destinata ad aggravarsi, anche se l’epidemia non dovesse raggiungere il continente. Cosa che appare improbabile. Il traffico aereo, inoltre, non si è interrotto nemmeno durante questa crisi epidemica. Alcune compagnie hanno cancellato i voli da e per la Cina, molte altre no come l'Ethiopian Airlines - la compagnia assicura la maggior parte dei collegamenti con la Cina. I paesi africani vogliono mantenere aperte il più possibile le relazioni economiche con Pechino.
Le epidemie già in corso
Per tornare all'aspetto sanitario occorre ricordare che l'Africa subsahariana ha affrontato e sta affrontando numerose epidemie. Come scrive Nigriazia.it, dal 2014 al 2016 ebola ha provocato 11310 vittime in Liberia, Guinea e Sierra Leone su 28616 casi. Nel 2018 si è registrato il ritorno del virus in Repubblica democratica del Congo - la crisi non è ancora terminata. Sempre in questo paese dal 2019 è in corso una epidemia di morbillo e i decessi - calcolati a gennaio 2020 - hanno superato le 6 mila unità.
Poi c'è il virus lassa endemico in alcuni paesi dell'Africa occidentale. Solo in Nigeria, dall'inizio dell'anno, ci sono stati 103 morti su 586 casi accertati. Infine c'è la malaria che rimane una delle principali cause di morte nell'Africa Subsahariana: gli ultimi dati a disposizione (2018) dicono che dei 228 milioni di casi in tutto il mondo, oltre 213 milioni, il 93 per cento, si sono verificati in Africa e sui 405 mila morti a livello globale il 93 per cento si sono verificati in Africa.