Seggi aperti in Iran, dove circa 58 milioni di cittadini sono chiamati a eleggere il nuovo Majlis, il Parlamento della Repubblica islamica. Nella capitale Teheran, in cui risiede un quinto degli 83 milioni di iraniani, dietro il traffico incessante e la confusione delle sue strade si nasconde una crescente disaffezione verso la politica, incapace agli occhi della gente di affrontare i reali problemi del Paese.
È lontano il clima di entusiasmo in cui si erano svolte le legislative del 2016 o le presidenziali del 2017, che avevano consegnato al 'centrista' Hassan Rohani la guida del governo, sull'onda delle speranze di aperture e progresso portate dalla firma dell'accordo sul nucleare. L'isolamento economico dovuto alle rinnovate sanzioni americane, l'inflazione, la svalutazione della moneta, la disoccupazione, la mancanza di medicinali, sono solo alcuni dei problemi con cui hanno a che fare quotidianamente gli iraniani, tra cui molti non vedono più differenza tra i due grandi schieramenti - riformatore e conservatore - in cui, generalizzando, si divide la politica iraniana.
"Quando abbiamo votato Rohani speravamo in una sorta di riforma ma ora sembrano tutti uguali", racconta Nazanin, una studentessa che arriva dal Nord del Paese, "io e i miei amici non andremo a votare". La delusione si concentra non solo nei confronti del governo appoggiato dai riformisti, ma in generale verso tutto il sistema di potere, in seguito alla repressione delle proteste di novembre contro il caro benzina e l'abbattimento "erroneo" del volo di linea ucraino a Teheran, i primi di gennaio e in cui sono morte 176 persone per lo più iraniani.
Nonostante, secondo analisti indipendenti, chi critica il sistema è una "minoranza", l'astensionismo è lo spettro che si aggira sul voto. "Non so ancora per chi ma votero'", racconta un taxista impegnato anche come scrutatore, "non ho nulla contro la Repubblica islamica, voglio che rimangano loro al potere e difendano il Paese, ma mi piacerebbe che capissero di piu' i nostri problemi economici".
La capitale non può essere rappresentativa di tutto l'Iran, ma si teme che anche nei centri rurali il dato sull'affluenza possa non essere soddisfacente: è una condizione che storicamente pone i riformisti in svantaggio, mentre per i conservatori, in caso di vittoria, intaccherebbe la legittimità del nuovo Parlamento. Per questo, da più parti, si sono susseguiti quotidianamente appelli a recarsi alle urne. L'ayatollah Ali Khamenei ha detto che è votare è "un dovere religioso", Rohani ha fatto leva sulla resistenza all'America, presentando il voto come uno strumento per "rompere l'embargo e l'assedio dell'Iran".
Un'immagine spicca tra i pochi manifesti elettorali in giro per Teheran ed è quella di Qassem Soleimani. Il generale ucciso in un raid americano il mese scorso a Baghdad è stato protagonista indiretto della campagna elettorale: a lui fanno riferimento entrambi i fronti, per mobilitare un elettorato stanco, provando a fare leva sull'orgoglio nazionale che ai funerali del generale "martire" aveva portato in piazza milioni di persone.
"L'affluenza alle urne in Iran non è mai stata sotto il 50% e mi aspetto che non sia di meno in queste elezioni", ha detto il portavoce del Consiglio dei Guardiani, Abbas Ali Kadkhodaei, nell'ultimo giorno di campagna elettorale.