Un sistema di controllo capillare, che permette al governo centrale cinese di conoscere ogni rete sociale o spostamento degli undici milioni di appartenenti alla minoranza etnica musulmana degli uighuri, che vive nella regione autonoma dello Xinjiang. È quanto emerge dagli ultimi documenti sul sistema di sorveglianza attivo nel nord-ovest cinese. Il materiale è stato pubblicato dalla Cnn.
In 137 pagine di documenti, ritenuti affidabili dall’esperto tedesco Adrian Zenz, viene svelato il sistema usato dalla Cina per la detenzione nei “centri di trasformazione vocazionale”, come vengono ufficialmente definiti da Pechino. Per rischiare di finire reclusi basta indossare il velo o portare la barba lunga. Altri motivi per la detenzione sono le infrazioni alle regole di pianificazione familiare (avere più figli di quanti consentiti), fare preghiere che non siano autorizzate, detenere un passaporto o essere identificato come una “potenziale minaccia”.
Il sistema dei "tre circoli"
Nei documenti citati dalla Cnn sono contenuti non solo dati anagrafici dei cittadini sottoposti a detenzione, ma anche la descrizione delle loro famiglie, dei loro vicini e le abitudini religiose. Sono i cosiddetti “tre circoli”, che incideranno sul giudizio a cui verrà sottoposto un individuo rinchiuso in un centro per la trasformazione vocazionale.
Si tratta del terzo caso di fuga di notizie sullo Xinjiang in altrettanti mesi, dopo le scoperte del consorzio di giornalisti investigativi Icij e del New York Times. L’emittente Usa dichiara di avere chiesto conferma alle autorità locali dello Xinjiang e al governo cinese dell’autenticità di questi documenti, senza avere ottenuto risposta. I file in formato Pdf raccolti dall’emittente Usa - soprannominati la “Karakax List” dal nome della località in cui vivono le persone cui si riferisce - secondo Zenz dimostrano che Pechino detiene cittadini di etnia uighura, in molti casi, per azioni che “non assomigliano lontanamente a un crimine”.
Pechino: "Una questione interna"
Pechino, intanto, ha respinto al mittente le accuse: lo Xinjiang, ha dichiarato oggi il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, è una questione interna della Cina e “non permetteremo a forze straniere di interferire”; i tentativi di “diffamare gli sforzi della Cina anti terrorismo e contro la radicalizzazione sono destinati a fallire”. I dati raccolti - tramite attivisti uighuri che non hanno rivelato le loro fonti - appaiono scritti da funzionari dell’amministrazione locale che nel corso degli anni hanno visitato periodicamente le famiglie uighure o che sono stati mandati a vivere in stretto contatto con loro. Altre fonti sono i comitati di quartiere o familiari delle persone schedate, spesso citate.
La Cnn ha potuto confermare tramite colloqui con uighuri che vivono all'estero la veridicità di otto casi: per alcune delle persone intervistate, i documenti sono la prima prova ufficiale, dopo anni di incertezza, della sorte toccata ai loro cari rimasti nello Xinjiang. Il governo cinese difende l'esistenza di questi centri come necessari per il recupero di estremisti e separatisti, dopo una serie di attentati tra la fine del 2013 e i primi del 2014 attribuiti a esponenti estremisti dell'etnia uighura, ma Pechino e'' oggi sotto accusa a livello internazionale per la repressione nello Xinjiang, dove le Nazioni Unite ritengono possano essere detenute circa un milione di persone.