Niente strette di mano, si cammina a una certa distanza, non ci si tocca neanche per passare dei soldi, meglio i pagamenti elettronici. Si azzerano i contatti tra le persone, anche con quelle care. Si passa il tempo sui social e guardando la televisione. Chi può fa il telelavoro.
La Cina ai tempi del Coronavirus si presenta così. Certo con differenze enormi tra le varie parti del paese: dall’isolamento totale di Wuhan, alla vita ‘ritirata’ di Pechino. L'AGI ha parlato con un imprenditore che abita in Cina da 13 anni, Claudio Grillenzoni, direttore Retail presso il gruppo dei Florentia Village luxury outlets, un racconto dall’’interno’, o quasi, perché in realtà Grillenzoni al momento si trova in Italia: venuto qui il 13 gennaio per passare un paio di settimane di ferie, si è trattenuto causa Covid-19.
La sua azienda è tra quelle che, in questa fase di cautela, fa ricorso al telelavoro. Ma i contatti con i tanti amici rimasti nel paese del Dragone sono continui, attraverso le chat con le quali si scambiano informazioni, pareri, foto e video.
Come vivono questa situazione? “Sono stanchi – racconta all'AGI -. E’ pesante doversi adattare, cambiare le proprie abitudini. Mi dicono gli amici che il più grande problema è non sapere quanto si andrà avanti così, con queste restrizioni. E stare in casa con i bambini è difficile. Tutte le scuole prima di marzo non aprono”.
A Shanghai, una città da 25 milioni di abitanti, dove abita Claudio, “ovunque è obbligatoria la mascherina, se non ce l’hai non hai accesso alla metro, che adesso chiude anche ore prima per la disinfestazione”. L'opinione comunemente diffusa tra i nostri connazionali in Cina è che “i media internazionali" stiano facendo "terrorismo, creano più panico e frenesia così”.
Perché se è vero che “la situazione è preoccupante, è controllata e – dice - i dati forniti dal governo cinese sui numeri del contagio sono gli stessi in possesso dell’Organizzazione mondiale della sanità. Pechino sta gestendo bene questa emergenza”. I controlli della temperatura corporea sono letteralmente ovunque: quando si entra nei condomini, quando si va al supermercato, sui mezzi pubblici. In realtà poi, si esce poco, “Si resta in casa e ci si fa portare il cibo con una delle tante imprese di consegna pasti a domicilio. Questo accadeva anche prima certo, ma adesso la differenza è che non ci si incontra più al momento della consegna. I piatti vengono lasciati fuori dal portone e un sms avvisa dell’avvenuta consegna” spiega.
A rimanere aperti sono gli esercizi di “pubblica utilità, come i supermercati. Quelli che possono, i cinema, teatri e anche molti ristoranti, abbassano la saracinesca. Come Walt Disney che subito ha chiuso le porte del suo parco di Shanghai, spiegando che se si prolungasse per due mesi la serrata, potrebbe danneggiare il reddito operativo nel secondo trimestre per 135 milioni di dollari, cioè circa 125 milioni di euro.
"Molte aziende occidentali stanno ricorrendo al telelavoro – spiega Grillenzoni – mentre le aziende cinesi adesso spingono un po’ più i dipendenti a tornare la lavoro. Dopo le festività per il Capodanno cinese, iniziate il 24 gennaio, il rientro era previsto il 30. E già lì era intervenuto il Governo centrale con una circolare per una ‘estensione’ delle vacanze, fino al 10 febbraio. Mentre in molte aziende private occidentali non si lavora prima del 17”. Questo discorso ovviamente non vale per quelle ditte che si trovano nei distretti del focolaio del Coronavirus, chiuse fino a data da destinarsi. A Tianjin, Shanghai, Canton, Chengdu la vita va al rallentatore, come un film silenzioso con la moviola. Nei casi in cui non si può andare in azienda? “Si viene regolarmente retribuiti. Nei contratti c’è la ‘causa di forza maggiore’, che dovrebbe essere valida anche in queste circostanze”. La stessa clausola che hanno utilizzato le compagnie aeree. “Anche il mio volo di rientro – racconta Grillenzoni – è stato spostato senza problemi e senza penali di una paio di settimane”.
Le perdite si stanno accumulando per tutte le aziende, cinesi ed estere e sono pesantissime. Secondo i dati diffusi dalla Luohan Academy la frenata dell’economia cinese porterà a un calo del 2% del Pil nel primo trimestre. Una batosta senza precedenti anche rispetto alla Sars. Tanto più che il “Governo aveva investito molto nelle potenzialità di Wuhan, era una delle città che si sarebbe dovuta sviluppare di più in assoluto – racconta Claudio Grillenzoni - . È stata realizzata la linea della metropolitana, una dovrebbe aprire tra tre mesi, c’è un aeroporto nuovo.
Wuhan è senza dubbio uno degli hub più grandi della logistica al centro della Cina, in quanto si trova a, un’ora e mezzo di volo da Shanghai e Pechino da un lato e dall’altro alla stessa distanza dal conglomerato di Chengdu e Chongqing, che con i suoi 36 milioni di abitanti, è la città-metropoli più popolata del mondo. Wuhan era la città che nelle intenzioni del Governo doveva spingere la ricchezza del paese anche nell’entroterra".
Adesso è deserta. Tutto è fermo, non funzionano le fabbriche, le aziende, la vita è sospesa, eppure continua a mantenere una posizione alta nella classifica delle città più inquinate. Secondo l’indice di qualità dell’aria misurato da air visual, a Wuhan l’inquinamento è comunque sei volte maggiore rispetto a Roma e Milano.