Zhong Nanshan, l'epidemiologo cinese assurto a fama internazionale quando fu in prima linea nella battaglia contro la Sars nel 2003 prevede che l'attuale epidemia dal nuovo coronavirus Covid-19 possa raggiungere in Cina il picco tra metà e fine febbraio e concludersi entro aprile.
Zhong ne ha parlato in un'intervista a Reuters e al Global Times spiegando come basi la sua analisi su dai dati degli ultimi giorni e sulla successiva risposta del governo. "Ipotizziamo che il picco possa essere raggiunto, forse a metà o alla fine di febbraio per poi stabilizzarsi un po' e quindi iniziare la discesa". Per poi aggiungere: "Confido che il focolaio possa essere concluso, direi, intorno ad aprile".
Secondo l'epidemiologo la situazione in alcune province sta già migliorando visto che il numero di nuovi contagi scende. In precedenza però, Zheng, aveva previsto un picco più ravvicinato nel tempo.
La situazione a Wuhan
Stanchi, addirittura esausti, senza mascherine e costretti a riutilizzare più volte gli indumenti protettivi: è la preoccupante istantanea sul personale ospedaliero che lavora a Wuhan, la città cinese epicentro dell'epidemia da nuovo coronavirus della polmonite, il Covid-19.
È soprattutto la carenza di forniture mediche a preoccupare perché Wuhan, dove è apparso il coronavirus a dicembre, ha il bilancio umano più pesante: è stato registrato proprio nella città cinese capoluogo dell'Hubei il 74% dei 1.100 decessi totali e il 43% di tutti i contagi (il resto di decessi e contagi, pratica il totale se si eccettua un minimo 1 per cento, è stato registrato nella provincia circostante).
A Wuhan ci sono migliaia di nuovi casi ogni settimana, in alcuni reparti arrivano "anche 400 pazienti in otto ore" e molti medici visitano i pazienti senza le mascherine o le tute protettive, oppure li riutilizzano continuamente quando invece dovrebbero cambiarle in continuazione.
"Per risparmiare sulle tute protettive integrali, i colleghi le cambiano solo una volta ogni quattro, sei, anche otto ore", ha raccontato un medico, una dottoressa che lavora in uno dei grandi ospedali della città e che vuole rimanere anonima per il timore di rappresaglie.
"In queste lunghe ore, i colleghi non mangiano, non bevono, non vanno in bagno". Alcuni, ha riconosciuto la stessa Commissione Nazionale della Sanità, a Pechino, indossano i pannolini per adulti durante le loro lunghe ore di turno (così non devono andare in bagno, perdere tempo e teoricamente cambiarsi la tuta).
Anche perché lo stesso vicesindaco di Wuhan, Hu Yabo, ha riconosciuto che in citta' c'è una drammatica carenza di tute e mascherine: si calcola che delle 59.900 combinazioni necessarie ogni giorno (giacca più pantalone protettivo), i medici e le infermiere di Wuhan ne abbiano solo 18.500; stessa situazione per le mascherine che proteggono dal virus: ce ne vorrebbero 119.000 al giorno, ne hanno solo 62.200.
Una situazione drammatica confermata anche da Xu Yuan, una cinese che vive da anni negli Stati Uniti ed è in contatto quotidiano con ex compagni di classe, che sono diventati medici o infermieri negli ospedali Tongji e Xiehe, quelli dove sono ricoverati i pazienti più gravi. "Uno di loro (ha raccontato che, ndr) è costretto a indossare gli stessi indumenti cinque giorni di fila. Ogni giorno, li pulisce con un disinfettante dopo l'uso. Dice che potrebbero non essere più utili, ma che è meglio di niente. Mi ha girato un video. È su un'ambulanza che raccoglie otto pazienti forse contagiati. Riesci a immaginare (cosa può accadere, ndr) senza una protezione adeguata, con otto potenziali fonti di virus che ti circondano?".
Il governo cinese ha risposto mobilitando l'intero Paese per aumentare la produzione di mascherine e tute protettive. Le fabbriche da lunedì, conclusa la prolungata pausa per il Capodanno lunare, hanno ripreso a lavorare quasi a pieno ritmo, ha confermato Cong Liang, uno dei responsabili del principale ente di pianificazione economica del Paese. La Cina, dal 24 gennaio, ha anche importato oltre 300 milioni di mascherine e circa 3,9 milioni di tute protettive.
Il punto di Farmindustria
"La situazione non va sottovalutata, lo ha detto anche il ministro Speranza, ma non c'è nessun allarme che riguardi l'Italia o l'Europa, dove la percentuale di casi è residuale. Credo se ne stia parlando troppo: non bisogna creare panico, ma fare tutto ciò che è necessario perché non ci sia o non si crei il panico. E credo che questo il nostro paese lo stia facendo, e bene, con tutte le misure precauzionali". A dirlo il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi in un'intervista a Circo Massimo, su Radio Capital, parlando dell'emergenza coronavirus.
"Noi - ha aggiunto - stiamo dando il nostro contributo: il virus è stato sequenziato subito, le industrie del farmaco hanno fatto una coalizione con le istituzioni per trovare nei tempi più rapidi di sempre soluzioni che consentano di non espandersi come epidemia, quindi vaccini, e stiamo già testando alcuni farmaci antivirali che sono già disponibili per vedere se in vitro il virus risponde a questi attacchi, e ne stiamo testando di nuovi. Non vuol dire che abbiamo già la soluzione, ma credo fosse importante reagire come si è reagito".