C'è da un 33% a un 70% di rischio di avere almeno un caso in Europa, nelle prossime due settimane, del nuovo coronavirus della polmonite che ha paralizzato la provincia cinese dell'Hubei. E questo nonostante la massiccia chiusura al traffico decisa dalle autorità cinesi in vaste settori della provincia. La stima è dell'Inserm, l'Istituto nazionale francese di salute e ricerca medica, e si basa su uno studio condotto nelle ultime ore da un gruppo di ricercatori, la gran parte dei quali italiani (lo studio è scaricabile a questo link).
L'ipotesi di contagio è quella legata all'arrivo per via aerea di viaggiatori infettati dal virus e lo studio considera quindi come aree di maggiore rischio quelle con grandi hub aeroportuali internazionali. Occhi puntati quindi su Londra, Parigi e Francoforte ma anche su Roma, Milano, Madrid, Barcellona e Amsterdam.
"Fare previsioni è estremamente difficile", riconosce Vittoria Colizza, laurea in fisica alla Sapienza e dottorato in fisica alla SISSA di Trieste, "e dipende tutto dalla sorgente, anche in considerazione che i numeri variano da un giorno all'altro".
L'Italia è il quarto Paese più a rischio
Lo studio prevede due scenari: uno 'a bassa esportazione', ovvero che dalla Cina si esporti lo stesso numero di casi, sette, registrati fino a giovedì 23 gennaio tra i viaggiatori partiti da Wuhan nelle due settimane tra il 6 e il 20 gennaio; l'altro ad alta esportazione, compatibile con un maggior numero di partenze dalla Cina (anche fino a tre volte lo scenario minimo).
Secondo gli scienziati, a guardare i flussi di viaggiatori in arrivo dalla Cina, i Paesi più a rischio sono Gran Bretagna (dal 9% al 24% a seconda dello scenario), Germania (dall'8% al 21%), Francia (dal 5% al 13%), Italia dal 5% al 13%) e Spagna (dal 4% all'11%). Le aree meno a rischio sono l'Europa settentrionale e le nazioni dell'ex cortina di ferro.
L'istituto francese si avvale di un team 'REACTing', una rete multidisciplinare di esperti, che lavora su malattie infettive emergenti per meglio preparare il Paese a rispondere un'eventuale epidemia. E ha approntato lo studio in vista dei casi che possano manifestarsi in Europa, in Francia in particolare: "Fare una valutazione del rischio serve ad approntare le strutture (a cominciare dai letti disponibili) ma anche a immaginare le contromisure per limitare la trasmissione del virus" spiega Colizza.