Per l'Iran, l'8 gennaio è stata una nottata campale nel mezzo di una crisi internazionale, che ha dato il via a una serie di bugie smentite a poco a poco nei giorni successivi, anche se qualche interrogativo ancora permane. Quella notte è iniziata con la notizia diffusa dai media iraniani di 80 soldati americani morti nell'attacco missilistico contro due basi irachene come ritorsione per l'uccisione del generale Qassem Soleimani; è proseguita con lo schianto di un aereo alle porte di Teheran inizialmente spiegato con un guasto tecnico; si è conclusa con un terremoto di 4,5 gradi di magnitudo vicino a un sito nucleare iraniano.
In realtà, nel raid contro le basi irachene non ci sono stati morti, ma solo danni, e secondo gli americani sono stati "minimi"; il Boeing 737 ucraino si è schiantato al suolo non per un problema tecnico ma perché le forze armate iraniane per errore gli hanno sparato contro un missile; infine, sul terremoto restano dubbi su cosa l'abbia provocato.
Falsità per salvare la faccia
Una serie di travisamenti e falsità che la Repubblica islamica ha imbastito e diffuso nel mezzo di una situazione di forte tensione con Washington, per cercare di salvare la faccia ed evitare un conflitto aperto insostenibile per il Paese. Ma si tratta di travisamenti e falsità che nel giro di pochi giorni sono stati sconfessati, fino ad arrivare stamane alla diretta presa di responsabilità della guida suprema del Paese, ayatollah Ali Khamenei, per l'abbattimento dell'aereo.
La successione di menzogne s'inserisce in un clima di fortissima tensione: all'uccisione da parte degli Usa (il 3 gennaio scorso) del potente leader delle forze al-Quds, Soleimani, Teheran reagisce promettendo vendetta. Una ritorsione che arriva nelle prime ore di mercoledì 8 gennaio, tra l'1,45 e le 2,15, quando le forze armate iraniane lanciano 22 missili contro due basi irachene che ospitano soldati americani.
In una nota, i Guardiani della Rivoluzione parlano di "decine di missili terra-terra" lanciati per colpire "la base aerea occupata dell'esercito terrorista e aggressore degli Stati Uniti ad Al Asad", l'hub per le operazioni militari Usa nell'Iraq occidentale. Per l'agenzia di stampa iraniana Tasnim, vicina ai Pasdaran, sono stati utilizzati missili Fateh-313 e Qiam che le forze statunitensi non sono riuscite a intercettare perché dotati di testate a grappolo, che hanno anche causato "decine di esplosioni" ad Al Asad.
Poco più di un'ora dopo l'attacco, il presidente americano Donald Trump su Twitter rassicura gli americani: "Tutto bene! Missili lanciati dall'Iran contro due basi militari in Iraq. È in corso la valutazione delle vittime e dei danni. Per ora tutto bene! Abbiamo di gran lunga i militari più potenti e ben equipaggiati del mondo!". Foto satellitari mostrano danni alla base, con cinque strutture distrutte. Due dei missili però non hanno raggiunto l'obiettivo ma sono invece caduti sulla cittadina di Hit senza esplodere, riferisce l'esercito iracheno; sui social circolano foto dei resti di uno di questi razzi, compresa la fusoliera spaccata in tre grandi parti.
Nella rappresaglia iraniana contro gli Usa viene presa di mira anche la base aerea di Erbil, nel Kurdistan iracheno: le forze armate di Baghdad riferiscono che in questo caso sono stati cinque i missili lanciati, ma non precisa quanti hanno colpito l'obiettivo. Secondo la tv di Stato irachena, due sono caduti sul villaggio di Sidan, a 16 km a nord-ovest di Erbil, mentre un terzo nella zona di Bardah Rashsh, a una cinquantina di chilometri di distanza dal capoluogo della regione.
Khamenei esulta parlando di "schiaffo in faccia" agli Usa mentre il presidente iraniano, Hassan Rohani, rivendica l'attacco sottolineando come "la risposta finale" della Repubblica islamica all'omicidio di Suleimani sarà quella di "buttare tutte le forze americane fuori dalla regione". Poche ore dopo, però, il premier ad interim iracheno, Adel Abdul Mahdi, riferisce che Teheran ha avvertito Baghdad dell'attacco imminente, precisando che non ci sono state vittime irachene. Nessuna traccia neanche degli 80 morti e 200 feriti americani, di cui i media iraniani hanno dato notizia.
L'abbattimento prima negato e poi ammesso
Poche ore dopo l'attacco, un Boeing 737-800 della Ukrainian International Airlines (Uia) - decollato all'alba da Teheran e diretto a Kiev - si schianta al suolo alle porte della capitale iraniana con 176 persone a bordo tra cui 83 iraniani, 63 canadesi, dieci svedesi, quattro afghani, tre tedeschi e undici ucraini. Nessun sopravvissuto.
L'ambasciata ucraina in Iran, in un comunicato postato online, sostiene dapprima la tesi del guasto al motore ed esclude l'attacco terroristico, ma poco dopo la nota viene cancellata e si sottolinea che la causa non può essere determinata fino al termine di un'inchiesta ufficiale, completa e trasparente, subito invocata dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che invia un team di esperti per indagare e rimpatriare le salme. Alcune fonti iraniane parlano di un incendio al motore, ma esperti mettono in dubbio che possa aver causato lo schianto. La compagnia ucraina sottolinea che l'aereo era uno dei suoi "migliori" ed era stato sottoposto a manutenzione solo due giorni prima, respingendo anche l'ipotesi di un errore dell'equipaggio esperto.
La Boeing offre piena assistenza, ma da Teheran Ali Abedzadeh, a capo dell'Autorità per l'aviazione civile iraniana, fa sapere che le scatole nere - rinvenute sul posto con la memoria in buone condizioni, nonostante siano state danneggiate nell'incidente - non verranno riconsegnate alla società produttrice o agli Usa ma analizzate in Iran, eventualmente con il sostegno di un Paese terzo.
Giovedì comincia a circolare l'ipotesi che l'aereo sia stato colpito da un missile, sulla base di fonti Usa e del Pentagono che citano registrazioni satellitari del lancio di due missili, probabilmente SA-15 di fabbricazione russa, seguiti da un'esplosione. In una conferenza stampa il presidente Usa avalla la tesi che non si sia trattato di un problema tecnico, ma di un possibile "errore", senza però sbilanciarsi sulla responsabilità diretta degli iraniani.
Poco dopo è il premier canadese Justin Trudeau a prendere la parola e a sostenere apertamente che il Boeing è stato abbattuto, forse per errore, da uno o più missili antiaerei iraniani; come il primo ministro britannico Boris Johnson poco dopo, fa riferimento a informazioni d'intelligence che comproverebbero la tesi. Entrambi, però, riconoscono che l'accaduto "potrebbe essere stato non intenzionale". Teheran nega, parlando di scenario "senza senso", e chiede al Canada di condividere le informazioni d'intelligence a sostegno della sua tesi, invitando la Boeing a inviare suoi rappresentanti per partecipare alle indagini.
Ma dopo tre giorni di smentite, alla fine Rohani riconosce che è stato un missile a causare l'incidente, promettendo che i responsabili saranno puniti. Le forze iraniane - spiega - erano in massima allerta per l'aumentata attività aerea Usa vicina al confine dopo l'attacco missilistico di mercoledì e hanno scambiato l'aereo ucraino per un obiettivo ostile che si stava avvicinando a un centro sensibile dei Pasdaran. Da parte sua il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, riconosce l'errore umano all'origine del disastro, ma punta il dito contro "l'avventurismo americano" che ha causato la crisi; Khamenei esorta le forze armate a "rimediare alle negligenze" per evitare che l'errore si ripeta.
In un'intervista trasmessa in tv, il generale iraniano Amir Ali Hajizadeh, alla guida delle Forze aeree dei Guardiani della Rivoluzione, riconosce "la piena responsabilità" nell'abbattimento dell'aereo ucraino e spiega come il missile a corto raggio sia esploso vicino al Boeing. Un incidente causato per errore da un operatore, che avrebbe scambiato l'aereo per un missile da crociera e avrebbe agito senza che venisse impartito un ordine a causa di un'interferenza nelle telecomunicazioni.