È stata inviata "per errore" la lettera alle autorità di Baghdad nella quale il comandante delle operazioni militari statunitensi in Iraq aveva annunciato un primo passo verso il ritiro degli Usa dal Paese arabo. Il generale William H. Seely aveva comunicato al numero due del comando militare iracheno il "riposizionamento" delle forze della coalizione anti-Isis con l'obiettivo di "ritirarsi dall'Iraq in modo sicuro ed efficace", come chiesto da una risoluzione del Parlamento.
Il segretario americano alla Difesa, Mark Esper, ha chiarito che "non c'è nessuna decisione di alcun genere sul ritiro dall'Iraq". "Non è stata presa nessuna decisione di lasciare l'Iraq. Punto", ha affermato il capo del Pentagono, aggiungendo che "quella lettera non è coerente con la nostra attuale posizione". Il presidente degli Stati maggiori riuniti Mark Milley ha spiegato poco dopo che la missiva è "autentica", come avevano confermato fonti militari all'agenzia France Presse, ma "non doveva essere inviata".
"Rispettiamo la vostra decisione sovrana che ordina la nostra partenza", recitava la lettera, in riferimento al voto del Parlamento di Baghdad che con una mozione non vincolante ha esortato il governo a espellere le truppe straniere dall'Iraq, dopo l'assassinio del generale iraniano Qassem Soleimani e di uno dei vertici delle milizie sciite irachene, Abu Mehdi al-Mouhandis.
Il premier chiede "misure necessarie e urgenti"
"Il governo iracheno deve lavorare per far cessare la presenza di qualsiasi truppa straniera sul suolo iracheno e proibire loro di utilizzare per qualsiasi ragione il suo territorio, spazio aereo e acque territoriali", si legge nel testo della risoluzione, che sollecita Baghdad a cancellare la richiesta di assistenza militare agli Usa. La votazione è avvenuta in una sessione d'emergenza del Parlamento, convocata dopo il raid americano e per alcune ore è stato incerto se si riuscisse ad aprirla per mancanza del quorum necessario.
Alla fine, in aula erano presenti 170 deputati su 328. Il presidente della Camera Mohammed Halbusi ha spiegato che per cancellare l'accordo in base al quale le truppe statunitensi e della coalizione anti-Isis sono presenti in Iraq serve varare un'apposita legislazione. Il prossimo passo quindi dovrà essere la presentazione da parte del primo ministro o del presidente, di un disegno di legge ad hoc, che dovrà ottenere l'approvazione del Parlamento in prima e seconda lettura. Dopodiché, scatterebbe una nota con cui si dà un anno di tempo per effettuare il ritiro.
Il premier iracheno dimissionario, Adel Abdul-Mahdi, - che già aveva denunciato la "violazione della sovranità" dell'Iraq da parte di Washington - si trova già in linea con la risoluzione e lui stesso aveva invitato i deputati a votare in questo senso. Mahdi ha chiesto di intraprendere le "misure necessarie e urgenti" per porre fine alla presenza delle forze straniere; ha poi denunciato la perdita di fiducia, la divergenza delle priorità e la mancanza di rispetto tra le ragioni.
Per al-Sadr è una risposta "debole"
L'imam sciita iracheno, Moqtada al-Sadr, che guida una coalizione sciita in Parlamento, ha definito la risoluzione una risposta "debole" al raid a Baghdad: oltre alla cancellazione dell'accordo di sicurezza con gli Usa, ha chiesto la chiusura dell'ambasciata statunitense e delle basi americane in Iraq e la cacciata degli Stati Uniti dal Paese "con umiliazione". "Faccio appello in modo specifico ai gruppi di resistenza iracheni e a quelli fuori dall'Iraq più in generale, perché si incontrino immediatamente e annuncino la formazione di Legioni di resistenza internazionale", contro gli Usa, ha detto Sadr nel suo messaggio al Parlamento. Intanto la coalizione anti-Isis ha annunciato la sospensione di tutte le operazioni in Iraq.
Dal canto suo, il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, aveva tentato di ridimensionare il significato del voto. "Il premier è dimissionario ed è sotto enormi minacce e pressioni dalla leadership iraniana", aveva commentato a Fox News, "siamo fiduciosi che il popolo iracheno vuole che gli Stati Uniti continuino a essere lì per combattere il terrorismo e continueremo a fare quello che serve per tenere l'America al sicuro". Un'affermazione con la quale la lettera di Seely appariva in netta contraddizione. Anche perché muovere il primo passo verso un ritiro dall'Iraq proprio in questo momento sarebbe stato rubricato come un successo da Teheran.
il Pentagono pronto a schierare i B-52
Le parole di Esper confermano quindi l'orientamento manifestato dal capo della diplomazia americana dopo il voto del Parlamento di Baghdad. E Washington è pronta a mostrare i muscoli dopo la minaccia iraniana di dar vita a "un nuovo Vietnam" se gli Usa non si ritireranno dal Medio Oriente.
Secondo la Cnn, il Pentagono sta infatti pianificando il dispiegamento di sei bombardieri B-52 nella base britannica Diego Garcia, nell'Oceano Indiano. A detta del funzionario consultato dalla Cnn, i B-52 saranno a disposizione per operazioni contro l'Iran, qualora venissero ordinate.
La Cnn tiene a sottolineare che il semplice dispiegamento non indica che tali operazioni siano già state ordinate. Il Pentagono ha usato già in passato dispiegare bombardieri e altri velivoli come segno della presenza e delle capacità Usa. L'anno scorso, sei B-52 furono dispiegati in Qatar quando iniziarono a salire le tensioni con l'Iran. Questa volta è stata scelta la Diego Garcia per tenere i mezzi fuori dalla portata dei missili iraniani, ha spiegato il funzionario.