John Wayne rappresenta uno dei volti storici del cinema americano e forse anche qualcosa in più. Per molti John Wayne, con quel suo fascino machista tipico degli anni a cavallo tra i ’40 e i ’70 del secondo scorso, è stato il volto degli Stati Uniti. Basti pensare che appena tre anni fa il legislatore della California ha votato una proposta per nominare il compleanno di Wayne, il 26 maggio, "John Wayne Day".
Questa sua fama però oggi rischia di vacillare per colpa di una vecchia intervista venuta fuori dal profondo web e che ne rimette in discussioni i valori personali. Perché come attore nessuno ha mai avuto niente da ridire, Wayne è il volto più famoso al mondo dei western americani, l'American Film Institute l'ha inserito al tredicesimo posto tra le più grandi star della storia del cinema, l’Accademy gli ha concesso tre nominations all’Oscar e in uno di questi casi è riuscito anche a portarsi a casa la statuetta (era il 1970 e il film “Il Grinta”); perfino il Congresso gli ha assegnato la sua medaglia d’oro; ma sotto il profilo privato non sono di certo segrete le sue simpatie per l’ala politica più conservatrice.
O antipatia verso i comunisti, specie quando colleghi, difatti Wayne divenne presidente della Motion Picture Alliance for the Preservation of American Ideals, associazione che s'impegnava a difendere gli ideali americani maggiormente destrorsi. Secondo quanto riporta il sito movieplayer.com, Rifiutò un ruolo in “Tutti gli uomini del re” perché secondo lui il film era intriso di anti-americanismo e venne pesantemente criticato per la sua propaganda pro-guerra con il film “Berretti verdi”.
Inoltre venne accusato di essere un simpatizzante del nazi-fascismo in seguito ad alcune dichiarazioni controverse sulla “supremazia bianca” e sono proprio queste dichiarazioni che oggi rischiano di mettere in seria discussione la sua onorabilità. L’intervista in questione è datata 1971 ed è stata concessa a Playboy, ed effettivamente il mito del cinema si espone senza mezzi termini:
“Non possiamo improvvisamente metterci in ginocchio e consegnare tutto alla leadership dei neri. Credo nella supremazia bianca fino a quando i neri non sono educati alla responsabilità. Non credo nel dare autorità e posizioni di comando e giudizio alle persone irresponsabili. Non mi sento in colpa per il fatto che cinque o dieci generazioni fa queste persone erano schiave”.
Una verità quindi rimasta sopita per anni, d’altra parte John Wayne ha lasciato questo mondo nel 1979, il problema è che nel frattempo il suo mito ha continuato a macinare simpatie e sono tante le opere che portano il suo nome: una scuola elementare a Brooklyn, un porto turistico nello stato di Washington, un'autostrada nell'Arizona centrale, un parco a Newport Beach e anche un aeroporto situato nella contea di Orange. Ed è proprio quest’ultima opera che potrebbe cambiare nome, almeno è questo che il giornalista David Whiting ha invocato qualche giorno fa dalle pagine del The Orange County Register in un articolo che si intitola proprio “è tempo di rinominare l’aeroporto John Wayne?”. “Quando guido o volo dall'aeroporto di John Wayne, un posto che molti di noi chiamano semplicemente "John Wayne", - scrive Whiting - non penso sempre all'attore e alle sue dichiarazioni oscure.
Ma quando lo faccio, sono turbato". Effettivamente nell’articolo il giornalista ricorda una serie di uscite di John Wayne che potevano apparire indelicate già negli anni ’70, oggi sarebbero considerate unanimamente inaccettabili: nell'intervista di Playboy, Wayne ha anche condiviso le sue opinioni sugli indiani d'America: “Il nostro cosiddetto furto di questo paese da loro era solo una questione di sopravvivenza.
C'era un gran numero di persone che avevano bisogno di nuova terra e gli indiani stavano cercando egoisticamente di tenerla per sé”. La famiglia Wayne naturalmente non rimane in silenzio rispetto alla faccenda: "Non è giusto giudicare qualcuno su qualcosa che è stato scritto che ha detto quasi 50 anni fa, quando la persona non è più qui per rispondere", ha dichiarato all'inizio di quest'anno dopo che un tweet di uno sceneggiatore è diventato virale.