In “J’accuse”, il film di Roman Polanski sullo storico caso Dreyfus, il personaggio interpretato da Emmanuelle Seigner si chiama, fatalmente, Pauline Monnier, stesso cognome di Valentine Monnier l’ex attrice francese che ha alzato un polverone sull’uscita in patria del film, provocando con la sua accusa tardiva di stupro (la presunta violenza subita dal regista in uno chalet svizzero denunciata a mezzo stampa risalirebbe al 1975) proteste e boicottaggi a suon di cartelli che davanti ai cinema gridano “J’abuse”.
La Seigner, signora Polanski da ormai trent’anni, sbarcata a Roma per presentare accanto al coproduttore Luca Barbareschi l’uscita italica del film da noi ribattezzato “L’ufficiale e la spia” (il 21 novembre) premio della critica al Festival di Venezia, ai terremoti familiari deve essere molto avvezza: intervistata dall’AGI sull’ultimo scandalo che ha investito suo marito non ha fatto un plissé.
Che effetto le fa chiamarsi nella finzione Monnier come l’accusatrice di suo marito?
“L’omonimia è strana, in effetti. Ma sono convinta che tutto passerà in fretta: questa film resterà nella storia del cinema mentre il resto svanirà in dieci giorni. Per fortuna il pubblico sta dimostrando di essere più intelligente dei media, nei primi cinque giorni di uscita ‘J’accuse’ è stato visto da 400 mila persone. E’ un film è importante perché cerca di dimostrare che chi è accusato non è automaticamente colpevole".
Si considera femminista?
"Lo sono da sempre: non sono mai stata dipendente da un uomo, mi sono sempre guadagnata da vivere da sola, sono favorevole all’aborto e ovviamente alla parità salariale. Ma c’è femminismo e e femminismo, un uomo e una donna non sono uguali. Adoro gli uomini e vorrei che restassero tali, come tengo alla mia femminilità. In grandi cause come queste, c’è sempre qualcuno che se ne approfitta".
Il movimento #MeToo ha esagerato?
"Il movimento porta avanti una battaglia giusta, ma il problema delle molestie e delle sopraffazioni non è tanto forte nel cinema quanto piuttosto in altri ambienti. Nel cinema le attrici sono protette, lo stesso non succede ad esempio alle donne che lavorano nei supermercati”.
Secondo lei perché il film di suo marito sta piacendo così tanto?
"‘J’accuse’ non è soltanto un bel film, i giovani ne riconoscono l’attualità e la contemporaneità. I tempi sono cambiati, la modernità e la tecnologia anche, ma i sentimenti di odio, razzismo e antisemitismo e anche il rapporto con la verità sono purtroppo ancora gli stessi”.
Da moglie di un uomo ebreo, come vive il clima di antisemitismo in Francia?
"Sono anche madre di due figli per metà ebrei e quindi molto sensibile all’argomento. Il clima è pesante, sabato scorso durante una manifestazione dei gilet gialli, è stata divelta e distrutta la placca dorata dedicata al maresciallo antinazista Juin. In Francia si sente l’odio per l’altro, la paura del diverso, tipica dei periodi di crisi quando domina il timore che lo straniero venga a prendere qualcosa a casa nostra”.
Questo è il sesto film in cui è diretta da suo marito, com’è lavorare, da moglie, con Polanski?
“Adoro lavorare con lui, è come quando devi operarti e scegli il miglior chirurgo possibile. Sul set con lui sono come le altre attrici, ma la differenza è che insieme abbiamo fatto sei film, mi conosce, sa farmi rendere al meglio e ho una fiducia totale. Roman lascia molta libertà all’attore e poi è molto bravo nel montaggio, esalta i momenti attoriali felici, smussa quelli meno riusciti. Come attrice ho imparato molto da lui, perché è esigente e preciso, ma ho imparato anche da altri, non è il mio maestro. E forse è anche lui che ha imparato qualcosa da me”.
E il vostro rapporto di coppia, cinema a parte?
"Amo Roman ma non sono una moglie di professione, sono una donna indipendente".
La donna che interpreta in ‘J’accuse’ le somiglia?
"E’ l’unica donna di un film dove dominano e decidono tutto gli uomini. E’ l’amante di George Picquard (il colonnello dell’esercito che smaschera la falsità delle accuse contro l’ebreo Dreyfus ndr), una donna di fine Ottocento ma molto moderna: in gioventù il colonnello non ha voluto sposarla, lei si è sposata con un altro (il personaggio interpretato da Luca Barbareschi ndr), e quando all fine lui si propone lei dice di no perché ha capito che entrambi non sono adatti al matrimonio. Una donna insolente, capace di andare contro i canoni dell'epoca. Durante le ricerche storiche ho scoperto che il mio personaggio è stato fondamentale per incoraggiare Picquart, che a un certo punto stava per mollare: lei lo ha convinto a riprendere l'indagine. Tutto questo non c'è nel film, ma io non posso farci niente”.