Speciale "Muro di Berlino", a cura di Roberto Brunelli
Qualcuno pensa che il Muro di Berlino sia caduto per sbaglio. Ma è certo che sono le 18.57 del 9 novembre 1989 quando l'immensa cicatrice di pietra, cemento e filo spinato che aveva diviso Berlino e la Germania si sbriciola davanti al mondo e alla Storia: è a quell'ora, in diretta televisiva, che Guenter Schabowski - un importante membro del Politburo - pronuncia, con l'aria di uno che non sa esattamente cosa sta dicendo, le parole che aprono il Muro, condannano a morte la Ddr (Repubblica democratica tedesca) e abbattono per sempre la Cortina di ferro, e con lei la suddivisione del mondo in due blocchi contrapposti.
L'annuncio (confuso)
E' rispondendo alla domanda di un cronista italiano, Riccardo Ehrmann, che Schabowski guarda confusamente i fogli che ha in mano e annuncia, un po' stordito, che "ci siamo decisi a varare un regolamento che permette ad ogni nostro concittadino di espatriare attraverso i passaggi di frontiera della Ddr". Altri giornalisti incalzano, lui legge ad alta voce l'intero regolamento in burocratese strettissimo, quelli insistono: "Da quando entra in vigore, da subito?". Finalmente Schabowski crolla: "A mia conoscenza, da subito".
Migliaia di persone verso i varchi
L'impatto della notizia è sconvolgente. Immediatamente migliaia di persone si dirigono verso i vari varchi del Muro e verso la Porta di Brandeburgo. Una folla che cresce sempre di più, eccitata, turbata, incredula. Come incredule sono le guardie di confine, che fino a poche settimane prima avevano l'ordine di sparare a vista. "Tutte le persone che marciavano per strada non sapevano se quella sera sarebbero tornata a casa sane e salve, né cosa avrebbe comportato per la loro carriera o per i loro figli", ha raccontato il pastore Rainer Eppelmann, uno dei principali protagonisti del movimento di protesta nella Ddr che precedettero il fatidico 9 novembre 1989. "Eppure in strada c'erano due milioni di persone! E io credo che questa sia una delle ragioni per cui tutto si è accelerato".
Così varcammo la frontiera
Una situazione per certi aspetti surreale. "Ci dirigemmo verso il confine. Quando arrivammo c'erano già cinquanta o cento persone. Sentivamo la gente che diceva: 'Dai, apri! Schabowski ha detto che possiamo passare'. Ma le guardie non reagivano. Se ne stavano lì, stranite. Sembravano smarrite, indifese. Per diversi minuti non accadde niente, finché non ci rendemmo conto che, a quanto pareva, i soldati non potevano aprire la frontiera, quindi dovevamo pensarci noi. E così facemmo. Fu semplicissimo e passammo dall'altra parte. Camminammo per circa venti metri, poi ci fermammo. Tutti gli altri passarono la Bornholmer Bruecke ed entrarono in Occidente.
Sembrava che tutta la gente di Berlino Est avesse avuto la stessa idea e, dopo aver visto che sempre più gente stava varcando la frontiera, volesse vedere di persona cosa stava accadendo. Così iniziarono a varcarla anche loro. Noi ci fermammo e osservammo la scena. Per vedere quella gente e quelle facce gioiose o incredule o dubbiose. Si abbracciavano l'un l'altro".
Persone che mai si erano incontrate in vita loro si abbracciavano
In pratica, tutti i varchi furono presi d'assalto. La folla diventava di ora e in ora sempre più grande. Intorno a mezzanotte tutti i passaggi, compreso il famigerato Checkpoint Charlie, erano aperti. Il tutto trasmesso in televisione, con l'effetto di portare nelle strade ancora più persone, mentre nei viali cominciarono i cortei delle macchine a suon di clacson impazziti. I berlinesi dell'est furono accolti entusiasticamente da berlinesi dell'ovest, molti locali nei pressi del Muro iniziarono a offrire birra gratis, persone che mai si erano incontrate in vita loro si abbracciavano, ridevano, piangevano, tantissimi si portarono da casa martelli e picconi per abbattere pezzi dell'odiata cinta che ha aveva tagliato in due la città per 28 anni.
Il ricordo di un berlinese dell'Est
Tra i berlinesi dell'Est che si aggiravano increduli per le strade c'era anche Peter Praschek, oggi un dirigente di Deutschlandradio, allora un dissidente che aveva rinunciato al proprio lavoro di insegnante e che era stato messo sotto osservazione della Stasi per il suo "atteggiamento negativo dal punto di vista ideologico-politico". "Il 9 novembre ero andato a prendere mia moglie e nostra figlia appena nata dalla clinica", racconta. "Solo distrattamente vediamo le notizie in tv. Si aprono le frontiere? Proprio oggi?
La mattina dopo prendo mio figlio di 3 anni e con la Trabant andiamo subito verso il varco della Bornholmer Strasse. C'è traffico, ma si riesce ad andare avanti. E davvero, le guardie di confine, mai viste cosi' stressate ed insicure, ci fanno passare. Pochi minuti dopo ci troviamo nel bel mezzo del traffico di Berlino ovest, e con la Trabant facciamo numerose volte il giro intorno alla Siegessaeule, la Colonna della Vittoria. Siamo andati dai parenti dell'ovest e allo zoo, abbiamo preso un bus a due piani, abbiamo mangiato un piatto intero di champignon: volevo che per mio figlio fosse un giorno da non dimenticare mai più in tutta la sua vita".
"Non volevo stare dall'altra parte"
Praschek sapeva bene cosa c'era in gioco. Da studente uno dei suoi più cari amici era stato ucciso durante un tentativo di fuga dalla Ddr. Lui, a causa di alcune battute pronunciate davanti ad altri studenti, era stato interrogato per ore: "Ero considerato uno sospetto", racconta oggi.
Militante del movimento Bundnis 90, nel giorno della visita di Stato di Mikhail Gorbaciov, partecipò ad una manifestazione presso la Gethsemanekirche a Prenzlauer Berg dove per un soffio non fu malmenato dagli agenti. "Precedentemente tre volte ero riuscito ad andare in Germania Ovest, sfruttando i rari permessi per andare a visitare i parenti: avevo detto che dovevo andare da una cugina per il battesimo. Ma non c'era nessun battesimo e nessuna cugina. Il fatto è che non volevo stare dall'altra parte. Avevo sempre pensato che la cosa più giusta che l'Ovest venisse da noi. E, alla fine, così è stato".
Come si arrivò al 9 novembre
Ovviamente il 9 novembre 1989 non nacque dal nulla. Ancora ad inizio dell'anno il leader supremo Erich Honecker aveva affermato che il Muro sarebbe "durato altri 100 anni". Poi ci furono le manifestazioni, sempre più imponenti, a Dresda, a Lipsia, a Berlino, la fuga di migliaia di tedeschi dell'est nelle ambasciate della Germania occidentale a Praga, l'apertura dei confini ungheresi, le dimissioni di Honecker, la folla che inneggiava a Gorbaciov che al quarantennale della Ddr aveva sibilato ai pietrificati leader di un Paese ormai sull'orlo della dissoluzione "chi arriva tardi sarà punito dalla vita". Fino alle ore 18.57 di trent'anni fa, quando uno stordito membro del Politburo pronuncia davanti alla tv parole che erano allo stesso tempo di condanna e di liberazione: "A mia conoscenza, da subito".