Domenica gli uruguayani andranno alle urne per le elezioni politiche e presidenziali, in un voto che per la prima volta vede in difficoltà la coalizione di sinistra, il Frente Amplio (FA) al governo dal 2005, minacciata dalla destra del Partido Nacional (PN). Alle presidenziali il confronto diretto si gioca tra Daniel Martinez, candidato del Frente Amplio, e il principale sfidante Luis Lacalle Pou, del PN. In ascesa anche il partito di destra nazionalista rappresentato dall'ex capo di Stato maggiore dell'esercito, Guido Manini Rios.
Gli ultimi sondaggi confermano in testa la coalizione di sinistra, in netta ripresa al 38% (+ 5 punti rispetto a settembre), ma non è un vantaggio che la mette del tutto al riparo dall'insidia del partito di destra, in calo di 6 punti invece, al 27%. Martinez, accreditato tra il 33 e il 40% delle preferenze in base all'istituto che lo realizza, è seguito da Lacalle Pou, al secondo posto, che potrebbe ottenere tra il 22,4 e il 28% dei consensi.
In pericolo il terzo posto per Ernesto Talvi, dello storico Partido Colorado (Pc), che con l'11% delle intenzioni di voto perde 7 punti rispetto al mese scorso, ormai raggiunto dallo schieramento della destra nazionalista Cabildo Abierto e del suo candidato Guido Manini Rios. Secondo gli analisti, si andrà al ballottaggio poiché difficilmente domenica il candidato del Frente Amplio riuscirà a guadagnarsi il 50% dei voti, mentre il Parlamento sarà sicuramente più frammentato rispetto alle ultime legislature.
All'opposizione si profila invece la formazione di una coalizione tra il Partido Nacional e altri partiti per sostenere Lacalle Pou nella corsa alla presidenza al secondo turno. Di riflesso, per la prima volta nella sua storia la coalizione di sinistra dovrebbe governare ma senza avere la maggioranza assoluta, quindi sarà costretta a formare una coalizione.
Perché Montevideo guarda a destra
Il distacco di soli 10 punti percentuali o anche meno tra sinistra e destra viene attribuito ad una certa disaffezione dei cittadini dopo 15 anni di governo del Frente Amplio, al malcontento per l'aumento del costo della vita e dell'insicurezza. Per alcuni commentatori, una virata a destra dell'Uruguay è da ricollocare nel trend politico che sta attualmente dominando il continente.
l Frente Amplio ha invece dalla sua parte ottimi risultati economici conseguiti durante i tre ultimi mandati presidenziali, con una crescita che negli ultimi 15 anni ha permesso di ridurre nettamente la povertà, dal 40% al 9% circa della popolazione. Di conseguenza l'Uruguay è il paese con il maggior reddito pro capite di tutta l'America Latina e non soffre di fortissime diseguaglianze sociali.
A pesare negativamente è la questione spinosa della crescente insicurezza, sulla quale il governo del presidente uscente Tabaré Vazquez, affetto da un cancro ai polmoni, non è riuscito a dare risposte incisive. Lo scorso aprile ha fatto clamore uno scandalo che ha portato alla destituzione dal loro incarico del ministro della difesa Jorge Menendez, del suo viceministro Daniel Montiel, del capo dell'esercito Gen José Gonzalez e di due generali considerati responsabili dell'insabbiamento di informazioni sulla scomparsa di un uomo nel 1973, durante la dittatura.
Durante la campagna elettorale, per la prima volta negli ultimi 25 anni, i candidati alle presidenziali hanno partecipato ad un dibattito televisivo. Tra le dichiarazioni più forti, quella di Martinez che ha detto di vedere nel rivale Lacalle Pou "la gestione disastrosa di Macri in Argentina", avvertendo che se dovesse vincere "procederà a una svalutazione, favorevole agli esportatori che si ripercuoterà sull'inflazione". Accuse alle quali il candidato del Partido Nacional ha replicato definendo il governo del Frente Amplio come quello delle "promesse incompiute" e delle "imposte", diversamente dagli impegni iniziali. L'appuntamento con le urne è segnato anche da polemiche per il successo riscontrato dall'estrema destra e dal neonazismo, rappresentati dal partito Cabildo Abierto, del quale fanno parte ex militari coinvolti in torture e sparizioni forzate di detenuti durante la dittatura militare, dal 1973 al 1985.