Diecimila “fuorilegge” dichiarati. Accade in Marocco dove, in meno di un mese, il manifesto redatto dalla scrittrice Leïla Slimani per chiedere al governo maggiore libertà sessuale è stato firmato da diecimila persone. Uomini e soprattutto donne ree confesse di aver avuto rapporti sessuali fuori dal matrimonio e di aver praticato l’aborto, o di esserne state in qualche maniera complici.
Cittadini che però, al contrario di un’ammissione di colpa, rivendicano il diritto a maggiori libertà. A poter scegliere che cosa fare con il proprio corpo, cosa che oggi invece è proibito dalle leggi di Rabat.
Ogni anno 15 mila processi per sesso fuori dal matrimonio
Tutto comincia il 23 settembre scorso quando, su diversi media marocchini, viene pubblicato un manifesto. La data non è casuale: coincide con la terza udienza di un processo a carico di Hajar Raissouni, una giornalista accusata di “aborto illegale” e di “dissolutezza”, ovvero di aver consumato un rapporto sessuale fuori dal matrimonio. Un procedimento penale che si è risolto solo con la grazia concessa il 16 ottobre da re Mohammed VI.
“Siamo fuorilegge. Stiamo violando leggi ingiuste, obsolete, non più necessarie. Abbiamo fatto sesso fuori dal matrimonio. Abbiamo subito o praticato l’aborto, o ne siamo state complici”, si legge nel manifesto. “La cultura delle menzogne e dell'ipocrisia sociale genera violenza, arbitrarietà, intolleranza. Queste leggi, liberticide e inapplicabili, sono diventate strumenti di vendetta politica o personale”, prosegue il testo.
Haut et fort : "Nous sommes hors la loi" #490 #HorsLaLoi
— Ali Baddou (@AliBaddou) September 23, 2019
J'ai signé. Pour signer à votre tour, envoyez « Je signe »
à : texte490@gmail.com pic.twitter.com/3Yw2tIftPM
In calce, inizialmente, ci sono 490 firme. Anche questo non è un numero frutto del caso: il 490 è l’articolo del codice penale marocchino che punisce con il carcere chi ha rapporti sessuali fuori dal matrimonio. Una prescrizione, questa, tutt’altro che puramente teorica: nel 2018, scrive Le Figaro, la giustizia marocchina ha citato in giudizio 14.503 persone per dissolutezza, 3.048 per adulterio, 170 per omosessualità e 73 per aborto.
In diecimila a dire che “il corpo non appartiene a qualcun’altro”
Il manifesto “Fuorilegge” vuole “difendere tutte le vite rovinate dal carcere, dalla vergogna, da simili disgrazie”, ha spiegato Leïla Slimani, prima firmataria del testo. Insieme a lei, che nel 2017 è stata nominata dal presidente francese Emmanuel Macron come rappresentante per la Francofonia, a mettere per iscritto le rivendicazioni delle donne c’era la regista Sonia Terrab.
“Questa è una campagna condotta da donne di ogni genere, insegnanti, cassiere, casalinghe, studentesse, artiste o intellettuali”, ha aggiunto lei. E così, in appena tre settimane, diecimila persone si sono unite all’appello. Unite, per dire che “il mio corpo appartiene a me, non a mio padre, né a mio marito, e neppure agli occhi degli uomini per strada, e ancor meno allo Stato”.
“Oggi siamo più di diecimila. Cittadine e cittadini del Marocco, uomini e donne fuorilegge, che manifestano la propria rabbia e il rifiutano di amarsi in segreto”, si legge nel comunicato più recente, pubblicato il 14 ottobre.
Ora è giunto il momento di passare all’azione. “Scriveremo al procuratore generale presso la corte di Cassazione chiedendogli di adottare norme penali più vicine allo spirito della Costituzione marocchina e della Carta dei diritti dell’uomo, smettendo di applicare queste leggi liberticide”, annuncia il movimento. Che poi si rivolgerà anche all’autorità che regola la comunicazione radiotelevisiva del regno per proporre spazi di approfondimento dedicati alle libertà civili.
Le pene: due anni per “dissolutezza”, venti nei casi di aborto
Nel dettaglio, l’articolo 490 del codice penale del Marocco prevede che “sono punite con la reclusione da un mese a un anno tutte le persone che, senza essere legate nel vincolo del matrimonio, intrattengono relazioni sessuali eterosessuali”. L’articolo successivo, il 491, regola l’adulterio, cioè il tradimento del coniuge: in questo caso le pene vanno da uno a due anni.
Un’intera sezione del capitolo 8 del codice penale è dedicato all’aborto: le donne che, intenzionalmente, si sottopongono a pratiche atte a interrompere la gravidanza rischiano il carcere, con pene da sei mesi a due anni (art. 454), mentre chi lo pratica incorre nella “reclusione da uno a cinque anni e multe fino a 500 dirham (47 euro, ndr)” (art. 449), con pene aggravate (da dieci a vent’anni) nel caso in cui l’aborto provochi la morte della donna.
L’omosessualità, infine, è regolata dall’articolo 489: nel caso di quelli che il paese nordafricano definisce “atti contrari al pudore o alla natura”, le porte del carcere si aprono per non meno di sei mesi e fino a tre anni.