L'imminente offensiva militare della Turchia nel nord della Siria si basa su di un piano diviso in due parti, che prevede in primis l'eliminazione dall'area dei curdi siriani del Pyd-Ypg, poi una seconda fase attraverso cui il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vuole riportare in Siria il più alto numero possibile di rifugiati siriani. A spingere Erdogan in questa direzione il malcontento della popolazione per la gestione della crisi siriana da parte del governo, tanto che vi è stata una notevole perdita di consenso per l'Akp, il partito del presidente.
Il piano per permettere il ritorno di un milione di siriani prevede 140 villaggi e 10 distretti principali. In ogni villaggio saranno ricollocati 5 mila siriani divisi in mille condomini con abitazioni di 100 metri quadrati, punti di approvvigionamento, due scuole, due moschee, un centro ricreativo per i giovani e una palestra. Alle famiglie residenti verrà inoltre assegnato un pezzo di terra da coltivare, il che significa che 140 milioni di metri quadrati in tutto saranno destinati a uso agricolo, mentre 92,6 milioni di metri quadrati della 'safe zone' saranno destinati alla costruzione degli edifici.
Ankara vuole che contribuisca anche l'Europa
I 10 distretti "capoluogo" saranno composti da 6 mila edifici ognuno, una moschea centrale e altre 10 moschee, 8 scuole, una scuola superiore, due palestre, cinque centri per i giovani, un campo da calcio, due ospedali e un'area industriale. Il piano di Ankara ha un costo stimato in 26,4 miliardi di dollari e prevede in tutto la costruzione di 200 mila condomini. Costi che, per la stessa ammissione di Erdogan, non possono essere affrontati dalla Turchia da sola, con il presidente che ha approfittato della Assemblea Generale Onu a New York dello scorso 24 settembre per strizzare l'occhio all'Europa, promettendo il ritorno di circa 3 milioni di profughi siriani nel caso la zona da porre sotto controllo fosse estesa a ovest del fiume Eufrate fino a Raqqa e Deir Ezzor.
Un tentativo di coinvolgimento dell'Ue che passa dalle minacce dello stesso Erdogan dell'inizio di settembre, quando il presidente turco dichiarò che in caso di nuovi flussi di profughi diretti in Turchia dalla Siria avrebbe aperto i confini con l'Unione europea, venendo sostanzialmente meno all'intesa sui migranti sottoscritta nel 2016.