Il Pentagono non sostiene l'operazione militare che la Turchia intende lanciare nel nord della Siria contro le milizie di protezione popolare curde dell'Ypg, decisive nella lotta all'Isis ma terroristi agli occhi di Ankara. "Il ministero della Difesa ha chiarito alla Turchia - come ha fatto il presidente - che non approviamo un'operazione turca nel nord della Siria", ha chiarito un portavoce del Pentagono.
Nessun ritiro americano dal nord-est della Siria, si tratta di una "ridistribuzione" di 50-100 membri delle forze speciali Usa "in altri basi" all'interno nel Paese. Lo ha affermato un alto funzionario americano, all'indomani dell'annuncio del presidente Donald Trump sul ritiro delle truppe Usa dalla regione nord-orientale della Siria. "Non si tratta di un ritiro dalla Siria", ha dichiarato, sottolineando che il ridispiegamento dei soldati Usa non significa in alcun caso "un via libera" a un'offensiva turca contro le forze curde, alleate di Washington. "Oltre a ciò la nostra posizione militare non è cambiata nel nord-est" della Siria.
Intanto la Turchia ha sferrato un raid aereo contro le Forze democratiche siriane (Sdf) nei pressi di al-Malikiyah, nel governatorato di al-Hasakah, nell'estremo nord-est della Siria, vicino al confine con l'Iraq. Lo ha riferito la televisione libanese Al-Mayadeen, precisando che sono stati distrutti due ponti e colpita una base delle Sdf. Colpi d'artiglieria sono stati sparati anche contro il valico di Semalka.
Erdogan vuole ricollocare i profughi
"Siamo pronti a entrare in Siria in qualsiasi momento", aveva annunciato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che oltre a temere la nascita di uno Stato curdo controllato dai curdi siriani, ha un ambizioso piano da 27 miliardi di dollari per ricollocare due milioni di siriani nell'area liberata dalle milizie curde, che permetterebbe il rientro di molti dei 3,6 milioni di siriani fuggiti in Turchia a partire dal 2011.
Il piano di 'invasione', o di 'incursione', come viene anche definito, crea grande apprensione per le conseguenze che potrà avere a livello regionale. L'Onu ha ammesso che si sta "preparando al peggio", mentre l'Ue ha sollecitato una "vera transizione politica". Anche Lindsey Graham - uno dei senatori repubblicani più vicini a Donald Trump, tanto da essere considerato un riferimento politico del presidente - gli ha suggerito di rivedere la decisione del ritiro, che sarebbe foriera di "disastri".
Trump: "Non sto con nessuno"
Nello spazio di poche ore, il presidente Donald Trump è passato dall'annunciare la ritirata americana dal confine siriano, abbandonando gli alleati curdi, a minacciare il governo di Ankara a non calcare troppo la mano con iniziative militari contro gli stessi curdi, che i turchi considerano alla stregua dei terroristi; altrimenti, ha minacciato il presidente, "travolgeremo la loro economia".
Poi l'ulteriore precisazione. "Non sto dalla parte di nessuno". Così ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano se parteggia per il leader turco o per gli alleati curdi. Ieri sera, l'inquilino della Casa Bianca a sorpresa ha annunciato il ritiro delle truppe americane dal nord-est della Siria, aprendo la strada a un intervento militare della Turchia contro i curdi nella regione, alleati di Washington nella lotta all'Isis ma considerati dei terroristi da Ankara.
Le reazioni di funzionari e ufficiali
Un funzionario del Dipartimento della Difesa ha fatto notare che un tweet del presidente ha rimosso qualsiasi ambiguità sul fatto che Trump avesse appoggiato un attacco turco contro i curdi: il Pentagono ha puntualizzato che non appoggerà un'invasione militare turca in Siria; e che non si tratterà di un "ritiro generalizzato", ma solo lo spostamento di alcuni uomini e da una zona limitata dell'area.
"Di fatto - ha precisato un ufficiale americano - la nostra posizione nel nord-est siriano non cambia". Il segretario alla Difesa Mark Esper e il campo delle forze armate congiunte Mark Milley, ha aggiunto un portavoce, ritengono che "azioni unilaterali creeranno un rischio per la Turchia".
La preoccupazione è che, se chiamati a doversi difendere dagli attacchi, i curdi abbandoneranno il controllo delle carceri dove sono rinchiusi diecimila "fighters" islamici, di fatto mettendoli in condizione di scappare. Nonostante la parziale correzione, Trump è deciso a portare avanti il piano di rientro a casa dei soldati, in nome di un "prima i confini americani" che piace ai suoi sostenitori.
Trump e i curdi
Nei confronti dei curdi, storici alleati nella lotta alla jihad islamica, Trump ha mostrato poca simpatia. In un tweet ha scritto: "Hanno combattuto per noi ma è anche vero che sono stati pagati per fare questo". Il messaggio è rivolto soprattutto agli alleati, a cominciare da quelli europei: Washington vuole chiudere i cordoni della borsa. "Dovevamo restare in Siria solo trenta giorni e siamo lì da anni. Tenere in carcere migliaia di terroristi ci sta costando troppo, è un problema che devono risolvere adesso gli alleati".
Non è il primo strappo in Medio Oriente compiuto dalla Casa Bianca. Quando in inverno Trump aveva annunciato il ritiro americano dalla Siria, si era dimesso il segretario alla Difesa Jim Mattis, seguito subito dopo da Brett McGurk, inviato speciale nella lotta allo Stato Islamico. "Quando sono diventato president - il terrorismo islamico era in ascesa. Con me e' stato debellato completamente". Ma è su questo punto che divergono repubblicani, democratici, parti dell'amministrazione e gli alleati. Il timore è che l'uscita americana potrebbe rendere vani anni di lotta al terrorismo nell'area.
La reazione dei repubblicani
A provocare la correzione di rotta è stata la reazione sorpresa del Pentagono e negativa degli stessi repubblicani che, in massa, hanno definito la decisione di Trump un "grave errore", una mossa "disastrosa", perché abbandona gli alleati che combattevano contro la jihad islamica.
Il primo a manifestare preoccupazione è stato il senatore conservatore Lindsey Graham, fedelissimo di Trump e compagno di golf. Parlando a Fox News, il senatore ha commentato: "Se non avessi visto il nome di Trump sul tweet, avrei pensato che fosse la motivazione usata da Obama per giustificare l'abbandono dell'Iraq".
"È una grande vittoria per Iran e Assad, e per l'Isis - ha aggiunto il senatore - è una decisione miope e irresponsabile. Farò tutto ciò in mio potere per sanzionare la Turchia se faranno anche un solo passo per attaccare i curdi. Io sono pronto a tagliare le relazioni con la Turchia. Credo che gran parte del Congresso la pensi allo stesso modo".
Graham ha minacciato sanzioni bipartisan e la richiesta di sospensione dalla Nato nei confronti del governo di Ankara. Se la repubblicana alla Camera, Liz Cheley, ha definito il ritiro un "errore catastrofico" e il senatore Marcio Rubio un "grave errore con implicazioni che vanno oltre la Siria", il senatore Mitt Romney ha bollato l'annuncio di Trump come "tradimento".