Dopo gli incendi in Amazzonia, nelle regioni artiche e in Africa centrale, le fiamme stanno divampando anche nelle foreste del sud-est asiatico. Da luglio, un inferno di fuoco sta investendo vaste aree verdi dell'Indonesia. Le zone più colpite si trovano nel Borneo e nell'isola di Sumatra dove sei province hanno dichiarato lo stato d'emergenza. Qui gli incendi hanno raggiunto la provincia di Riau e arso il Parco Nazionale Tesso Nilo che ospita circa 140 elefanti selvatici in via di estinzione, oltre a costituire uno degli ultimi rifugi per gli ormai rarissimi oranghi di Sumatra. I roghi sono stati inizialmente appiccati dall’uomo con l’obiettivo di fare spazio a nuove piantagioni di palme da olio. Poi, però, la situazione è sfuggita di mano e le fiamme si sono propagate sempre di più.
L'allarme lanciato dalla Peatland Restoration Agency
La Peatland Restoration Agency (BRG), istituita nel 2016 per il recupero idrogeologico e vegetativo delle foreste polverizzate dai roghi, sottolinea che gli incendi attuali sono indotti principalmente dai titolari delle concessioni commerciali per lo sfruttamento delle piantagioni.
Lo sforzo nazionale sta mirando a scongiurare un ritorno al 2015, quando le emissioni giornaliere di anidride carbonica provocate dai soli incendi indonesiani arrivarono a superare le emissioni prodotte da tutte le attività economiche degli Stati Uniti. Il 23 luglio scorso, la Corte Suprema dell’Indonesia ha confermato la sentenza già emessa da tribunali minori: il governo, Presidente Joko Widodo incluso, è responsabile degli incendi del 2015 e dovrà adottare delle strategie per evitare il ripetersi di questi tragici eventi.
Un problema di vecchia data
Fuoco e nubi tossiche non sono una novità per l'Indonesia. Tuttavia l'intensità raggiunta nel 2019 sta preoccupando i poteri forti, nazionali e internazionali. Se infatti il fumo causato dall’incendio per la bonifica delle piantagioni è un problema a cadenza annuale, oggi la sua portata è aumentata a causa del clima particolarmente secco.
Quest'anno, nel periodo gennaio-agosto, sono andati in cenere 328.724 ettari di distese verdi. A riferirlo è stata l'agenzia nazionale indonesiana per i disastri. Tra le regioni più colpite il Kalimantan centrale, occidentale e meridionale, Riau, Jambi e il Sumatra meridionale.
Anche nella vicina Malesia sono stati accertati roghi locali. Tuttavia né per entità né per quantità possono essere paragonati a quelli divampati in Indonesia. Secondo il centro meteorologico specializzato dell'ASEANA - l'associazione delle nazioni del sud-est asiatico, a partire dal 14 settembre negli Stati malesi di Sabah e Sarawak sono stati identificati 10 focolai. Nel Kalimantan (Borneo) 627.
In Indonesia i picchi di combustione si registrano, solitamente, durante la stagione secca, quindi da luglio a ottobre. In questo periodo molti agricoltori locali si servono della tecnica "slash-and-burn" (taglia e brucia) per ripulire le piantagioni.
La tecnica del taglia e brucia
"Slash and burn” è una tecnica usata dal Neolitico quando i primi agricoltori compresero che la terra coltivata, dopo il primo raccolto, forniva una resa inferiore negli anni successivi. Il rimedio escogitato fu allora di seminare nuovi appezzamenti di terreno disboscando foreste tramite il fuoco. Questa tecnica è tuttora sfruttata da centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. Una tecnica tipica dell'agricoltura familiare di sussistenza, prevalentemente nell'Africa e nell'America intertropicali, nelle zone più remote dell'India e del Sudest asiatico, praticata dalle popolazioni che vivono ai bordi della foresta pluviale sempreverde.
Il mea culpa dell'Indonesia
Il governo dell’Indonesia ha ammesso che il fumo e gli inquinanti, causati dai numerosi incendi nella parte indonesiana del Borneo, hanno attraversato il confine con la Malesia. Parallelamente, ha rivelato di aver multato quattro società malesi accusate di aver indotto i roghi. “Fumi inquinanti hanno probabilmente attraversato il confine con il paese vicino (la Malesia), stanno disturbano i voli aerei e riducendo la qualità della vita delle persone”, ha dichiarato il ministro coordinatore degli Affari politici, legali e di sicurezza indonesiano, Wiranto.
Un elemento chiave su cui,però, il governo indonesiano non ha fatto luce è la mancanza di trasparenza nel settore delle coltivazioni, alimentata dalla riluttanza del governo a condividere pubblicamente le informazioni riguardanti le concessioni delle piantagioni di palma da olio. Nonostante la Corte Suprema dell’Indonesia abbia stabilito due anni fa che il governo avrebbe dovuto rendere disponibili queste informazioni, lo scorso maggio il governo indonesiano ha ordinato di non farlo. Non divulgare le mappe e le informazioni relative alle piantagioni potrebbe danneggiare la reputazione dell’industria indonesiana dell’olio di palma, già accusata di incentivare deforestazione, accaparramento delle terre e violazione dei diritti dei lavoratori.
Così, le multinazionali che si sono impegnate in azioni di trasparenza e che vogliono dimostrare di acquistare olio di palma prodotto responsabilmente potrebbero non farlo. O, addirittura, smettere di acquistarlo dall’Indonesia.
Le nubi tossiche
Le dense nubi tossiche - esito degli incendi che ardono in Indonesia - che si stanno espandendo verso Malesia, Singapore, sud della Thailandia e Filippine, stanno comportando un significativo deterioramento della qualità dell'aria.
In Malesia centinaia di scuole sono state costrette a chiudere e le autorità nazionali hanno consigliato alla popolazione di evitare di praticare sport all'aria aperta. Qui in diversi distretti è stato registrato un indice degli inquinanti presenti nell’aria (API) pari a 208, un livello definito "malsano". Parallelamente, il 14 settembre i livelli PSI (l’indice degli standard inquinanti) a Singapore hanno superato i 100 punti per la prima volta in tre anni, anche se non hanno ancora raggiunto i livelli di pericolosità del 2015. In quell'anno erano arrivati a 341. In entrambi gli indici, un dato superiore a 100 è classificato come "non sano" e qualsiasi valore superiore a 300 "pericoloso".
Domenica a Palangkaraya, la capitale del Kalimantan centrale, l'Air Quality Index (AQI) ha raggiunto il valore di 2000. A riportare il dato è stato Greenpeace Indonesia. Per molti si tratta di un promemoria dell'ultima grande crisi del paese: quella del 2015. Una crisi che è costata al paese 16 miliardi di dollari, ha portato più di 500 mila persone ad ammalarsi di disturbi respiratori e le istituzioni a dichiarare lo stato di emergenza.
La soluzione del governo
Cosa si sta facendo per arginare il problema e quindi per garantire ai cittadini aria "sana"? L'Indonesia ha scaricato milioni di litri d'acqua nelle zone lambite dalle fiamme, inviando l'esercito a supporto dei vigili del fuoco. Nel settembre 2015, Widodo ha detto alla BBC che il suo paese necessitava di almeno tre anni per affrontare il dissesto ambientale. Tuttavia, quattro anni dopo, le foreste indonesiane continuano a bruciare e le nubi tossiche a espandersi.
L'Indonesia ha lottato a lungo per sorvegliare la vasta area rurale di Sumatra e Kalimantan, tra le zone più colpite dai roghi. La tecnica dello slash-and-burn utilizzata in queste regioni è senza dubbio il modo più semplice per gli agricoltori per ripulire e preservare la loro terra. Ma è anche ciò che contribuisce al problema che la nazione ora sta affrontando. Tuttavia, il divampare degli incendi non è da ricondurre (solo) all'attività dei coltivatori indonesiani.
Il ruolo delle società interessate alle piantagioni
Le autorità indonesiane sono attualmente impegnate a spegnere gli incendi, molti dei quali divampati in zone aride e ricche di torba. E se la torba prende fuoco può bruciare sottoterra per mesi, e dunque richiedere un enorme quantitativo d'acqua per essere spenta.Il sospetto è che molti di questi incendi siano stati appiccati dalle grandi società internazionali interessate alle piantagioni per la produzione di palma da olio, di cui l'Indonesia è il primo produttore mondiale.
Essendo la domanda del prodotto in costante aumento, ne consegue una maggiore richiesta di terra per la sua coltivazione. Quindi i titolari delle concessioni commerciali incendierebbero le foreste per arricchirsi attraverso lo sfruttamento delle piantagioni che producono palma da olio, di cui l’Unione Europea è uno dei principali importatori.
Il ruolo dell'Europa
L’Unione Europea rimane uno dei principali importatori di olio di palma indonesiano. Lo scorso 23 luglio la Commissione europea ha pubblicato un Piano d’azione europeo contro la deforestazione evidenziando la responsabilità dell’Europa rispetto alla deforestazione globale e riconoscendo la necessità di una legislazione specifica per spezzare il legame tra deforestazione e produzione di materie prime agricole come soia, olio di palma, carne, caffè e cacao. Frans Timmermans, Primo vicepresidente responsabile per lo Sviluppo sostenibile, ha dichiarato: "Le foreste sono il polmone verde del pianeta ed è nostra responsabilità prendercene cura. Se non le proteggiamo sarà impossibile raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati in materia di clima. Benché le più grandi foreste primarie al mondo non si trovino sul territorio dell'Unione, il comportamento di ciascuno di noi e le nostre scelte politiche possono fare la differenza."
Le richieste di Greenpeace all'Europa
Alla luce di ciò, Greenpeace ha avanzato all'Europa due richieste. La prima riguarda l'urgenza, da parte della prossima Commissione, di presentare una nuova normativa per garantire che i prodotti immessi nel mercato europeo non siano legati alla deforestazione e alla violazione dei diritti umani. La seconda spinge i governi nazionali ad aggiornare e migliorare i propri piani d’azione per mantenere l’innalzamento delle temperature globali sotto il grado e mezzo.
La responsabilità dell'uomo
La distruzione delle foreste è una delle principali cause del cambiamento climatico e della massiccia estinzione delle specie a cui l'uomo sta assistendo, oltre ad essere spesso associata alla violazione dei diritti umani. Proteggere le foreste e proporre un nuovo paradigma per il sistema agro-alimentare sono le soluzioni alla crisi climatica ed ecologica attuale, ed è proprio di questo che l’Indonesia avrebbe bisogno. A sottolinearlo è l'ultimo rapporto dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) sui cambiamenti climatici e l’uso del suolo.
Nell'era del Pirocene (chiamato in causa dal New Scientist), con l'Artico sempre più fragile, gli incendi alle alte latitudini sono destinati ad aumentare. In altri luoghi, al momento ancora in fiamme - come Amazzonia e Indonesia -, i roghi sono un fenomeno più tipicamente stagionale. Un fenomeno, cioè, strettamente legato alla deforestazione e a pratiche agricole più o meno legali. Di questi incendi l'uomo ha una responsabilità ancora più diretta: è lui che li origina, e sono i cambiamenti climatici - che lui incentiva - a renderli sempre più difficili da estinguere.