A poco meno di sei mesi dalle ultime elezioni, finite in un nulla di fatto, gli elettori israeliani domani torneranno nuovamente al voto. La domanda amletica, oggi come allora, resta la stessa: "To Bibi or not to Bibi". Il premier, Benjamin Netanyahu, leader più longevo alla guida del Paese (con i suoi 13 anni ha superato persino il padre della patria David Ben Gurion), punta a conquistare il quinto mandato e soprattutto un 'salvacondottò per evitare le beghe giudiziarie che lo minacciano all'orizzonte: il procuratore generale Avichai Mandelblit ha già espresso l'intenzione di incriminarlo a breve per frode, abuso di fiducia e corruzione in tre casi.
Contro di lui si ripresenta - anche se l'effetto novità è già in parte svanito - Benny Gantz, ex capo di Stato maggiore, alla guida di Blu e Bianco (i colori della bandiera israeliana), il 'partito dei generalì creato dalla fusione con la formazione centrista Yesh Atid di Yair Lapid.
Ma il vero avversario, nonché probabile ago della bilancia (secondo i sondaggi potrebbe raddoppiare i seggi), è Avigdor Lieberman, leader del partito ultra-nazionalista russofono Yisrael Beiteinu, colui che lo scorso novembre, con le dimissioni da ministro della Difesa, aveva accelerato la caduta del governo e di nuovo ad aprile, dopo il voto, aveva soffocato le speranze di Netanyahu, rifiutandosi di formare un esecutivo con lui e costringendolo così a indire nuove elezioni per evitare che il presidente Reuven Rivlin desse a Gantz la chance di tentare la formazione di un governo.
Il nodo principale del contendere tra Netanyahu e Lieberman, ex alleati, ora acerrimi nemici, è la partecipazione dei partiti ultra-ortodossi al governo: per il leader del Likud, questi sono la linea d'ossigeno che negli ultimi anni è servita per tenere in piedi le sue maggioranze, per la voce della comunità russofona sono un ostacolo rispetto alla sua impostazione laica della società civile. Da qui, le battaglie di Lieberman per la riforma della leva militare obbligatoria in modo da includere gli studenti dei seminari e contro le misure restrittive nell'ambito di trasporti ed esercizi commerciali durante lo shabbat.
La lista delle forze in campo
LIKUD: Dopo il fallimento delle scorse elezioni, quando non riuscì a formare una coalizione di governo, Benjamin Netanyahu ci riprova e guida il partito alla conquista del quinto mandato. Sul leader inossidabile pende il rischio di incriminazione in tre casi.
BLU E BIANCO: è stata la sorpresa del voto di aprile, il cosiddetto 'partito dei generalì che ha messo insieme tre ex capi di Stato maggiore, Benny Gantz, Moshe Yàalon e Gabi Ashkenazi, cui si è unito il partito Yesh Atid di Yair Lapid. Testa a testa con il Likud, ha stretto un accordo post-elettorale con il partito ultra-nazionalista russofono Ysrael Beiteinu di Avigdor Lieberman per non disperdere eventuali seggi.
YISRAEL BEITEINU: Voce della comunità russofona in Israele, ex alleato di Netanyahu al governo, ora acerrimo nemico, il partito è dato in crescita nei sondaggi, rispetto ai 5 seggi conquistati ad aprile. Alla luce della sostanziale parità tra i due principali partiti israeliani, Lieberman resta cruciale e si prevede che sarà l'ago della bilancia.
OTZMA YEHUDIT: Il partito di estrema destra di impostazione kahanista potrebbe riuscire a entrare da solo alla Knesset. I sondaggi lo danno sul filo del rasoio: sarebbe la prima volta per una formazione accusata di rifarsi alle teorie del Kach, il movimento razzista di estrema destra fondato dal rabbino Meir Kahane e messo al bando negli anni '90.
LISTA UNITA: Arrivati divisi alla scorsa prova elettorale, e puniti per questo dagli elettori, per queste elezioni i quattro partiti arabi - Balad, Hadash, Tàal e United Arab List - hanno ridato vita alla lista unitaria guidata da Ayman Odeh.
Dal voto alla formazione del governo
LA RACCOMANDAZIONE DEL CANDIDATO PREMIER AL PRESIDENTE: Tutti i partiti eletti hanno la facoltà di raccomandare al presidente - in questo caso Reuven Rivlin - il nome del candidato premier. La scelta cruciale è legata alla matematica: nessun partito, per quanto grande, riesce ad avere la maggioranza (61 seggi) per formare da solo il governo, quindi ha bisogno di stringere una serie di alleanze per formare una coalizione.
L'INCARICO DI FORMARE IL GOVERNO: Il presidente, una volta ricevute le raccomandazioni, dà l'incarico al leader del partito che sembra avere le maggiori chance di formare il governo, colui cioè che gode del sostegno del maggior numero di parlamentari. Non c'è nessun obbligo di dare l'incarico al leader del partito piu' grande alla Knesset (è quello che successe nel 2009 a Kadima che, pur essendo il partito con il maggior numero di seggi, venne scavalcato dal Likud di Benjamin Netanyahu che con il sostegno del blocco di destra godeva della maggioranza in Parlamento). Il presidente può raccomandare la creazione di un governo nazionale, con due partiti e la premiership a rotazione, ma non può imporlo.
LA FORMAZIONE DELLA COALIZIONE DI GOVERNO: Il candidato premier ha fino a 42 giorni per formare una coalizione (28 giorni piu' una proroga di altri 14 a discrezione del presidente); in caso non riesca a ottenere il sostegno della maggioranza (61), il presidente può dare l'incarico a un altro leader che a quel punto ha 28 giorni per tentare l'impresa, senza possibile rinvio. Se anche il secondo candidato premier dovesse fallire, una maggioranza di deputati può chiedere al capo dello Stato di indicare un terzo candidato che avrebbe a disposizione solo 14 giorni. In caso di ulteriore fallimento, ci sarebbe lo scioglimento della Knesset e nuove elezioni entro 90 giorni.
LA CONFERMA DELLA KNESSET: Una volta che il premier designato ha formato un governo, la coalizione deve presentare alla Knesset la sua composizione, il programma e la suddivisione degli incarichi. Ottenuta la fiducia dell'aula, premier e governo - il 35esimo d'Israele - giurano ufficialmente ed entrano in carica
Le incognite sul voto
L'ENIGMA DELL'AFFLUENZA: La partecipazione al voto è uno dei principali interrogativi. In Israele l'affluenza segue generalmente le linee dell'appartenenza comunitaria, con gli ultra-ortodossi che si recano in massa alle urne seguendo le direttive dei rabbini (fattore di cui ha beneficiato negli ultimi anni Netanyahu) e la minoranza araba che oscilla tra sfiducia e astensione come forma di protesta, registrando così una partecipazione solitamente al di sotto della media nazionale.
Alle ultime elezioni di aprile l'affluenza araba è crollata al 49% rispetto al 64% del 2015; un segnale della disapprovazione degli elettori nei confronti dell'incapacità dei quattro partiti arabi di trovare un accordo e mantenere in vita la Lista Comune.
Proprio la resurrezione di questa formazione alle elezioni del 17 settembre potrebbe portare a un'aumentata partecipazione araba. Il tema è centrale anche per il Likud, la cui base tradizionale negli anni ha mostrato qualche segnale di stanchezza nei confronti di Netanyahu. Improbabile il passaggio a un'altra formazione ma la scelta del premier di bombardare l'opinione pubblica con i suoi slogan migliori, soffiando sulla paura del nemico, in patria e fuori, indica che non vuole lasciare a casa nessun elettore.
LA SINISTRA A RISCHIO: Le ultime elezioni del 9 aprile sono state una vera e propria Caporetto per la sinistra israeliana. I laburisti sono crollati a 6 seggi rispetto ai 24 conquistati nel 2015 quando erano alleati con la formazione di Tzipi Livni; Meretz si è fermata 4. Per affrontare la nuova tornata elettorale, i partiti hanno dato vita a una serie di fusioni: i laburisti si sono uniti a Gesher, partito liberale di Orly Levy, ex deputato di Yisrael Beiteinu, mentre la sinistra radicale di Meretz ha trovato l'accordo con il Partito Democratico di Ehud Barak, l'ex premier ritornato sulla scena politica dando vita all'Unione Democratica.
Scelte che rischiano di suscitare una certa confusione nei rispettivi elettorati, con i laburisti che si sono spostati piu' chiaramente a sinistra con la nuova direzione di Amir Peretz, e il Meretz che invece è accusato di aver annacquato la sua identità radicale unendosi con Barak e l'ex deputata laburista Stav Shaffir.
I sondaggi finora non li hanno premiati, entrambi si fermano a 5 seggi e c'è sempre il rischio di non riuscire a superare la soglia di sbarramento del 3,25%. Proprio per questo sembra ancora piu' suicida la 'campagna acquistì di Benny Gantz che cerca di sottrarre loro voti, dal momento che se le formazioni non riuscissero a entrare in Parlamento, per il sistema proporzionale di redistribuzione dei voti, almeno due seggi potrebbero finire alla coalizione di Netanyahu, aiutandolo così a raggiungere la tanto sospirata maggioranza.
L'INCOGNITA 'RUSSà: Stando ai sondaggi, resta decisivo Avigdor Lieberman, leader del partito ultranazionalista russofono Yisrael Beiteinu, ex alleato di Netanyahu al governo, oggi acerrimo nemico, che con i suoi 7 seggi in dote (di piu' rispetto ai 5 del voto di aprile, ma scesi rispetto ai 10 dati dalle indicazioni di voto della scorsa settimana), sarà probabilmente l'ago della bilancia. Da qui, l'attivismo del leader del Likud, che negli ultimi mesi ha inserito in agenda la questioni delle pensioni dei veterani sovietici che vivono in Israele, ha nominato un 'consigliere specialè per la comunità russofona, si è recato a stringere la mano al nuovo presidente ucraino Volodymyr Zelensky per poi volare a Sochi dal presidente russo Vladimir Putin in cerca del suo endorsement. Uno sprint che si spiega solo in chiave elettorale, ha denunciato acidamente Lieberman.
IL RUOLO DI GANTZ: L'ex capo di Stato maggiore, alla guida del cosiddetto partito dei generali, è stato la novità delle elezioni dello scorso aprile. Presentato come l'anti Bibi, il campione scelto per battere il leader del Likud ha conquistato l'attenzione e un buon seguito, senza riuscire però a sfondare. Dopo l'entusiasmo iniziale, la sua stella non brilla, un personaggio poco incisivo, tanto da far dire agli opinionisti che la battaglia stavolta è tra Netanyahu e Lieberman e lui potrebbe ancora diventare premier, ma di default.
Gli scenari del dopo-voto
NETANYAHU OTTIENE IL CONTROLLO DELLA MAGGIORANZA DEI SEGGI: Appoggiato dai principali partiti di destra e degli ultra-ortodossi, il premier riesce a conquistare il sostegno della maggioranza dei parlamentari (61). A quel punto, il leader del Likud viene incaricato dal presidente Reuven Rivlin di formare un governo e, dopo intensi negoziati, mette insieme una coalizione.
È BLU E BIANCO A METTERE INSIEME LA MAGGIORANZA: La seconda possibilità è che sia il partito di Benny Gantz a riuscire a mettere insieme la maggioranza dei seggi, con il sostegno dei partiti di centro-sinistra (Labour-Gesher e Campo Democratico di Ehud Barak). Uno scenario improbabile alla luce dei sondaggi che registrano una spostamento sempre più a destra dell'elettorato.
GOVERNO DI UNITÀ NAZIONALE: Gantz non ha escluso questa opzione, lasciando aperta la porta a un esecutivo con il Likud ma senza Netanyahu. Lo scenario diventerebbe piu' probabile nel caso in cui il leader del Likud fallisse nuovamente nella costruzione di una coalizione di maggioranza, e Gantz non riuscisse a trovare i numeri per formare un suo governo.
GOVERNO DI MINORANZA: è un'opzione non del tutto esclusa dagli esperti ma considerata improbabile perché lascerebbe il governo troppo instabile ed esposto.
NESSUN CHIARO VINCITORE, SI TORNA ALLE URNE: Se non ci fosse un chiaro vincitore e nessuno riuscisse a mettere insieme una coalizione capace di ottenere la fiducia della maggioranza in Parlamento, non ci sarebbe altra alternativa che tornare per la terza volta alle urne ma è probabile che i politici facciano di tutto per evitarlo.