Secondo l'indagine 2019 di Save The Children, in Italia 3 ragazzi su 5 sono vittime di discriminazioni, vengono emarginati o derisi dai loro coetanei. E 9 su 10 sono testimoni diretti di episodi violenti contro i loro compagni. Ma perché si diventa bulli (a scuola)?
Sono solo 45 anni che gli psicologi se ne occupano: il bullismo inizia ad essere studiato nel 1973, grazie al norvegese Then Olwens (che, però, lo chiamò "mobbing"). Da allora i numeri sugli episodi di bullismo sono in costante aumento. Di questo comportamento sociale aggressivo è stato vittima anche il filosofo polacco Zygmunt Bauman, che ne aveva parlato nel suo "Nati liquidi". Di questo atto violento Bauman è rimasto ferito "in modo costante, quotidiano. Durante tutti gli anni di scuola a Poznan, in Polonia. Ricordo di aver capito benissimo che essere vittima di bullismo era una questione di esclusione".
Ma quei tempi sono lontani. Ora la situazione è, almeno in parte, diversa: l'aggressività tipica di questo atto prevaricatore ha mutato veste. "Fare il male - sottolinea Bauman - non richiede più motivazioni. Il male, il bullismo incluso, si è già considerevolmente spostato dalla classe delle azioni finalizzate a uno scopo all’ambito di un piacevole passatempo e intrattenimento ?». Pare di sì. Non è un caso se oggi, insieme al bullismo, si parla anche di cyberbullismo.
Il bullismo nasce nell'infanzia
Se le conseguenze di questo comportamento aggressivo, per le vittime, possono durare una vita intera, è bene ricordare che il bullismo, spesso, emerge nell'infanzia. “Per molto tempo - suggerisce Dorothy Espelage, professoressa di educazione all'Università della Carolina del Nord - abbiamo pensato che ci fosse solo un tipo di bullo. Si trattava di un ragazzo altamente aggressivo con problemi di autostima. Problemi che potevano derivare da ripetuti episodi di violenza domestica vissuti oppure anche dall'assenza di attenzioni da parte della famiglia di origine".
Due tipi di bulli
Se da una parte rimane l'idea del bullo come aggressore schietto e aperto, parallelamente è stato riconosciuto un altro profilo, più machiavellico. I bambini che rientrano in questa categoria tendono ad avere migliori capacità sociali. Sono spesso carismatici e apprezzati dagli insegnanti. Si tratta di giovani in grado di "accendere e spegnere" il loro atteggiamento prevaricatore per soddisfare le loro esigenze del momento.
"I bulli socialmente dominanti vogliono essere leader unici e incontrastati", afferma Espelage. "La via attraverso cui soddisfano questa aspirazione implica spingere gli altri coetanei verso i punti più bassi della scala gerarchica all'interno di un determinato contesto sociale".
Un comportamento che riguarda più il bullo che la vittime
Altre ricerche sostengono che il bullismo spesso riguarda più il "carnefice" piuttosto che le sue vittime. In uno studio condotto sui bambini in Italia e in Spagna, alcuni alunni hanno partecipato ad un test che richiedeva loro di proporre una riflessione su una situazione di bullismo. Una situazione in cui, però, dovevano assumere il punto di vita del bullo.
I ricercatori hanno fornito ai bambini un questionario con il compito di classificare i colleghi coetanei come bulli, vittime o outsider. Dai risultati dello studio è emerso che i bambini identificati dai coetani come bulli erano più propensi a rispondere con dichiarazioni che si concentravano su come l'atto prevaricatore aveva colpito il bullo stesso ("Mi sentirei grande perché avrei ottenuto l'attenzione di altri bambini!") o dichiarazioni che attestavano una mancanza di empatia (“Non mi sentirei in colpa perché non ci penserei” e “Mi sentirei indifferente perché la vittima non soffrirebbe”).
Dal bullismo al cyberbullismo
Negli ultimi anni il bullismo ha assunto nuove forme. Se una caratteristica "storicamente" considerata tipica del bullismo era l'aggressione ripetuta verso la vittima, il mondo online sta offuscando questa sua "cifra". Tuttavia, c'è una tale mescolanza di elementi tra bullismo scolastico e cyberbullismo che alcuni ricercatori si sono spinti ad accorparli in un unico tipo di comportamento sociale aggressivo. D'altra parte, oggi quale bambino non ha un cellulare con sé in classe? Ne ha parlato anche la BBC.
"Grazie alla mia ricerca ho scoperto che i bambini che si comportano da bulli a scuola spesso continuano a molestare le potenziali vittime anche nel mondo virtuale" suggerisce Calli Tzani-Pepelasi, docente di psicologia investigativa all'Università di Huddersfield. "Spesso il bullismo si muove attraverso i social media: in questo modo le azioni dei prevaricatori possono essere attestate da più persone. E i bulli, così, posso fregiarsi di un (falso) senso di fama e gloria".
Cosa fare se tuo figlio è un bullo
Se si sospetta di avere a che fare con un figlio bullo, cercare di capire le motivazioni che lo spingono ad esercitare atti prevaricatori verso altri bambini può essere un buon primo passo per affrontare il problema.
"Mettiamo caso che dei genitori mi chiamino per raccontarmi che loro figlio è impegnato in comportamenti aggressivi di questo tipo. Io chiederei al bambino ‘OK, che cosa stai ottenendo da questo? Perché lo stai facendo? ’", suggerisce Espelage. "Potrebbe anche essere che loro figlio si trovi in una scuola dove questo è ciò che ci si aspetta che faccia". Buona norma, per i gentiori, è riflettere e considerare se le proprie azioni possono condizionare e influenzare il figlio. "Gli atteggiamenti che i genitori manifestano ai figli possono plasmarli predisponendoli ad attivare strategie da bullo", continua la studiosa.
Una possibile via per affrontare il problema del bullismo scolastico potrebbe essere costituire una rete di amicizie tale da favorire il sostegno e l'integrazione tra coetanei, avvicinando agli studenti più giovani quelli più grandi, che potrebbero indirizzarli a comprendere gli effetti che gli atti prevaricatori possono comportare. "I bambini più grandi potrebbero far capire ai più piccoli quali sono gli atteggiamenti che un alunno deve tenere a scuola", dice Tzani-Pepelasi.
In ogni caso, vivere in un ambiente ascolastico in grado di garantire supporto e ascolto è importante anche per affrontare (e, soprattutto, prevenire) episodi di bullismo. “Gli insegnanti e in generale il personale scolastico devono dimostrare una forte persistenza e coerenza per affrontare il problema. Senza di loro, altrimenti, il sistema non può funzionare" sostiene Tzani-Pepelasi. Dello stesso parere è Espelage. "Quello che è emerso dalle nostre ricerche è che le scuole in cui si pone maggiore attenzione ai problemi di comunicazione e connessione tra i bambini, rinforzando il loro senso di appartenza a una comunità, registrano minori episodi di bullismo".
Il bullismo e le molestie sessuali
Nel 2014 Espelage, in collaborazione a un team di ricercatori, ha pubblicato uno studio quinquennale che rilevava una relazione preoccupante tra bullismo e molestie sessuali. Dallo studio è emerso che il bullismo tra i bambini più piccoli spesso comporta insulti omofobi. Da qui, negli anni scolastici successivi, seguirebbero le molestie sessuali. Un ulteriore problema dipende dal fatto che gli alunni coinvolti in episodi di molestie sessuali - in veste di carnefice o vittima - spesso non sembrano capire le gravi ricadute di questi atti. "Il filo rosso di aggressività che congiunge il bullismo all'insulto omofobico prima e alla violenza sessuale poi è reale", suggerisce Espelage.
Un bambino bullo non diventa per forza un adulto bullo
Sulla possibilità che un bambino che ha dato prova di atteggiamenti prevaricatori possa riproporli in età adulta, Espelage avanza due possibilità. "Per alcuni è possibile che ciò si verifichi, per altri no. In base alla mia esperienza posso dire che alcuni bulli "scolastici" entrano nel mondo del lavoro esercitando professioni in cui quel tipo di comportamento è incentivato. Insomma, un alunno che ha manifestato aggressività sociale potrebbe scegliere di diventare poliziotto, professore o magari avvocato".
Carnefici e vittime di bullismo: entrambi infelici
In ogni caso, i danni psicologici che si ripercuotono sulle vittime di bullismo spesso riguardano anche gli autori stessi dei comportamenti sociali prevaricatori attivati. A dirlo è uno studio del 2013 condotto dall'Association for Psychological Science.
Dai risultati delle ricerca è emerso che tanto i bulli quanto le loro vittime hanno maggiori probabilità di soffrire durante l'età adulta. Entrambi, dunque, avranno più probabilità di sperimentare fallimenti scolastici, ma anche di incorrere nella perdita del posto di lavoro.
Sarebbero altresì più propensi a diventare tossicodipendenti e criminali, a differenza di quei giovani adulti che non hanno mai avuto a che fare direttamente con questo tipo di comportamento sociale aggressivo, né in veste di vittima né di carnefice.