La centrale nucleare di Fukushima Da-ichi potrebbe rilasciare più di 1 milione di tonnellate di acqua radioattiva nell'Oceano Pacifico. A dirlo, martedì, è stato il ministro (uscente) dell'Ambiente giapponese Yoshiaki Harada.
Non si tratta però di una decisione ufficiale: il politico ha infatti specificato che “tutto il governo ne discuterà. Non voglio limitarmi a fornire la mia opinione”. In ogni caso, Harada lascerà a breve il posto di ministro per un rimpasto di governo voluto dal primo ministro Shinzo Abe.
I commenti della comunità internazionale
Le dichiarazioni hanno provocato scompiglio all’interno del governo di Tokyo e non solo. L'affermazione del ministro dell'ambiente si è infatti diffusa a più latitudini, ricevendo commenti anche da Greenpeace, che ha definito la proposta dell'onorevole Harada “del tutto imprecisa sia scientificamente che politicamente. Al governo giapponese sono state presentate opzioni tecniche, anche da parte di compagnie nucleari statunitensi, per rimuovere il trizio radioattivo dalle acque contaminate - finora ha però scelto, per motivi finanziari e politici, di ignorarle".
Chang Mari, militante della ONG, ha spiegato alla radio francese Rfi: “Si stima che ci vorranno diciassette anni prima che la radioattività sia sufficientemente diluita da essere scesa al di sotto dei livelli di guardia. È un problema che riguarda il mondo intero”.
Forte il disappunto anche dalla Corea del Sud, che il mese scorso aveva convocato un alto funzionario dell'ambasciata giapponese per capire come l'acqua dei reattori danneggiati sarebbe stata trattata. Il Ministero degli Esteri coreano ha detto di aver chiesto al Giappone "di prendere una decisione saggia e prudente".
I tre reattori danneggiati
Tre dei sei reattori della centrale di Fukushima hanno subito un tracollo dopo il terremoto di magnitudo 9 avvenuto al largo delle coste nordorientali del Giappone nel marzo 2011. Il terremoto aveva indotto una serie di tsunami che hanno messo fuori uso il sistema di raffreddamento della centrale, portando al secondo disastro nucleare dopo Chernobyl.
A seguito della catastrofe i reattori danneggiati sono stati costantemente raffreddati, al fine di evitare nuove fughe radioattive. L'acqua utilizzata e diventata radioattiva è stata poi stoccata in serbatoi d'acciaio. Ora, però, lo spazio a disposizione per ospitare i quasi mille "contenitori speciali" sta terminando. Da qui, il problema di come liberarsi del liquido contaminato.
Secondo l'Asia Times, il presidente della Nuclear Regulation Authority giapponese Toyoshi Fuketa sostiene l'idea dello scarico in mare aperto come l'opzione più ragionevole, anzi, più la più sicura.
L'annosa questione dell'acqua contaminata
La Tokyo Electric Power Co (Tepco), cioè la società che gestisce l'impianto nucleare, ha reso nota la data-limite dopo la quale sarà esaurito lo spazio disponibile per stoccare l'acqua radiattiva: il 9 agosto 2022.
Tepco ha però affermato che l'acqua contiene solo trizio, un isotopo dell'idrogeno che è difficile da separare e che (in poccole quantità) non rappresenta un pericolo per la salute umana. Documenti governativi trapelati al Telegraph l'anno scorso avevano invece rivelato, la presenza, nell'acqua stoccata, di una forte concentrazione di materiale radioattivo (pericoloso) - tra cui stronzio, iodio, rodio e cobalto - ben al di sopra dei livelli legalmente consentiti.
La decisione del governo
Tra le opzioni di azione non ancora vagliate dal governo c'è la possibilità di seppellire il liquido in pozzi di calcestruzzo al di sotto della superficie terrestre o di iniettarlo in strati geologici profondi. In ogni caso, il segretario del gabinetto giapponese Yoshihide Suga ha descritto i recenti commenti del ministro dell'ambiente Harada come frutto "della sua opinione personale”.