Gli allarmi si moltiplicano: sull'Europa potrebbe abbattersi in tempi brevi una nuova, incontrollata, ondata di flussi migratori. Ma non dalla Libia: l'attenzione degli analisti è rivolto alla Turchia, al Mar Egeo, alla Siria. Ad essere a rischio è infatti la tenuta dell'accordo tra Ankara e l'Unione europea del 2016 dopo che l'anno prima la Germania aveva accolto oltre un milione di profughi.
La Turchia nei giorni scorsi ha ripetutamente minacciato di far saltare l'intesa riaprendo le frontiere ai profughi e ora si fa concreto il rischio che gli accordi naufraghino definitivamente. A creare preoccupazione è il combinato disposto tra la situazione esplosiva nei centri d'accoglienza sulle isole greche e la pressione dei profughi siriani sulla Turchia.
"Solo quest'anno in Grecia sono arrivati 26 mila migranti, quasi cinque volte il numero di quelli giunti in Italia", scrive il settimanale tedesco Spiegel, secondo il quale nelle scorse settimane la situazione è drasticamente peggiorata: in agosto 8000 persone sono approdate sulle isole greche, un numero in linea con le cifre del 2016, quando la crisi era al suo apice. A Lesbo, in certi giorni sono giunte contemporaneamente 13 barche, mentre i centri d'accoglienza messi in piedi dal governo di Atene sono sul punto di scoppiare: nell'hotspot' di Lesbo, afferma la testata amburghese, ultimamente erano presenti 10 mila persone, ossia tre volte le sue capacità.
Una situazione drammatica - "con bambini che dormono per terra in container affollati, malati che non vengono curati, affamati che elemosinano cibo" - che ha indotto il nuovo premier greco Kyriakos Mitsotakis ad evacuare 1500 migranti sulla terraferma. A detta dello Spiegel, con la sua mossa Atene ha dato un segnale: la via verso il nord è di nuovo libera.
Il punto è che l'intesa sottoscritta quattro anni fa con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan era volta a rendere pressoche' impossibile il passaggio verso il Vecchio Continente. E, più o meno, finora ha funzionato. Ma l'Ue, ricorda lo Spiegel, è venuta meno alle sue promesse, tra le quali quella di trasferire una quota di migranti dalla Turchia in Europa, così come si è mancato di far rientrare in Turchia un numero concordato di profughi approdati sulle isole greche. Dove, come detto, la situazioneè esplosiva. Tanto che Mitsotakis ha chiesto oggi ai partner europei di accogliere rifugiati minori non accompagnati, nel senso del "principio di responsabilità" contenuto nei trattati Ue.
Poi, ovviamente, c'e' il fronte turco: Ankara nei giorni scorsi ha piu' volte ribadito la minaccia di riaprire le frontiere ai migranti con destinazione Europa. L'avvertimento viene dallo stesso Erdogan. "Qualcuno non ha mantenuto fede ai patti. Se questo progetto si rivelerà un buco nell'acqua allora dovremo riaprire i nostri confini. Se davvero l'Europa ci sostiene allora lo faccia in maniera concreta, altrimenti lo dicessero", ha tuonato Erdogan giovedì scorso.
"Non è una minaccia, ma neanche un bluff. Si tratta di una possibilità reale", rincara la dose due giorni dopo il vicepresidente Fuat Oktay. Il capo di Stato turco - la cui politica delle 'porte aperte' ai siriani ha pesato sul calo dei consensi al suo partito, l'Akp - in pratica si lamenta dello scarso sostegno alla Turchia, che ospita oltre 3,7 milioni profughi siriani, e ricorda quelli che secondo lui sono i molti ritardi dell'Europa nel mantenere fede ai patti.
Dei 6 miliardi di euro promessi dall'Ue nel 2016, la Turchia avrebbe ricevuto la metà, avendo speso di suo 40 miliardi di dollari in 8 anni. Un esborso enorme in un Paese che sta affrontando notevoli difficoltà economiche. Vieppiù che molti turchi, proprio a causa della crisi, tendono a vedere nei siriani come concorrenti sul mercato del lavoro. Così il governo di Ankara ha cominciato a spostare profughi nelle zone di guerra, mentre le autorità greche sospettano che la Turchia abbia "alleggerito" i controlli lungo le coste.
Ankara è in questi mesi stata impegnata in un fragile dialogo con la Russia per quello che riguarda la regione di Idlib, nel nord-est della Siria. Tramite Mosca, Erdogan vuole contenere gli attacchi del regime di Damasco in una regione in cui i civili a rischio fuga verso la Turchia sono circa 3 milioni. L'altro tavolo su cui il presidente turco è impegnato è quello della 'safe zone' da costituire a est del fiume Eufrate insieme agli Stati Uniti.
Un progetto su cui il governo turco non ammette ritardi, desideroso di spazzare via le postazioni dei curdi-siriani del Pyd-Ypg, ma anche di creare un'area pacificata in cui riportare a casa alcuni dei tantissimi siriani che attualmente vivono in Turchia. Erdogan ha messo anche il progetto della 'zona tampone' sul piatto dell'accordo sui migranti: vuole il sostegno dell'Europa.
Greece plays an important part in the tough migration dossier. My Greek colleague and I spoke about the increase in migrant arrivals and the worrisome admission conditions on the Greek islands. Support from the rest of the EU remains necessary. pic.twitter.com/tjvP7aYiNx
— Mark Rutte (@MinPres) September 3, 2019
Forse non per caso una prima apertura alle richieste di collaborazione del presidente è arrivata dal premier olandese Mark Rutte, secondo cui l'Ue deve "andare incontro all'insoddisfazione della Turchia e rinegoziare i termini dell'accordo".
Questo mentre Mitsotakis respinge le accuse di Erdogan. "L'Europa", ha ricordato il premier greco, "ha dato già 6 miliardi per aiutare la Turchia a gestire i flussi migratori", ed i negoziati si conducono con "un linguaggio da buoni vicini" non sulla base di "minacce". Oggi, però, gli occhi delle capitali europee sono puntate sula Siria, all'offensiva delle forze di Assad insieme ai russi intorno a Idlib: il nuovo spettro dell'Europa sono nuove colonne di profughi in marcia verso la Turchia.