Il premier nazionalista indiano, Narendra Modi, ha deciso di revocare l'autonomia del Kashmir, regione a maggioranza musulmana, riaccendendo le tensioni in un'area che Bill Clinton definì "il luogo più pericoloso del mondo". Il Pakistan, non estraneo alle spinte separatiste che animano la regione, ha avvertito di essere pronto a fare "qualsiasi cosa" per difendere la "giusta causa" del popolo del Kashmir. Il capo del governo di Islamabad, Imran Khan, ha sottolineato che la decisione di nuova Delhi "potrebbe portare a un conflitto" che avrebbe "conseguenze inimmaginabili". Parole che riaccendono i timori di un conflitto tra due potenze nucleari che proprio per il Kashmir hanno già ingaggiato guerre in passato.
Nel 1947, nel 1965 e nel 1971 - gli anni delle prime tre guerre indo-pakistane (la quarta, quella del 1999 fu un conflitto dalle proporzioni più limitate - i due storici avversari non avevano però a disposizione arsenali atomici. Il quadro è cambiato nel maggio del 1974, quando Nuova Delhi concluse con successo l'operazione "Buddha sorridente", nome in codice del suo primo test nucleare. Nel maggio 1998 fu la volta del secondo test, con cinque detonazioni sotterranee. Il Pakistan rispose con un esperimento analogo appena venti giorni dopo. Ora che il fragile equilibrio tra le due nazioni rivali è stato minato in maniera così pericolosa, è impossibile escludere del tutto che l'impiego di queste armi superi la mera deterrenza, anche in virtù del peculiare assetto strategico delle testate a basso potenziale schierate da Islamabad al confine.
Come è nato il conflitto sul Kashmir?
Nel 1947 i domini coloniali inglesi nell'area vennero divisi in una nazione a maggioranza musulmana, il Pakistan, e una a maggioranza indù, l'India. Milioni di persone emigrarono da uno Stato all'altro e migliaia di persone morirono nei conflitti interreligiosi che scaturirono dalla separazione. Rimase in sospeso la sorte del Jammu e Kashmir, un regno al confine tra le due nuove nazioni, sulle montagne dell'Himalaya, governato dal maragià Hari Singh. Il monarca esitò a prendere una decisione ed entrambi i Paesi invasero il suo territorio. Il Pakistan ne conquistò un terzo e lo annesse, l'attuale Gilgit-Baltistan. L'India occupò i restanti due terzi, corrispondenti agli attuali Jammu (a maggioranza indù) e Kashmir. Il maragià accettò di cedere le due province all'India purché ne salvaguardasse l'autonomia, disciplinata dall'articolo 370 della costituzione indiana, il quale garantisce alle autorità locali una relativa indipendenza normativa, e dall'articolo 35a, che consente a esse, tra le altre cose, di poter decidere chi possa acquistare terre e avere residenza permanente nel Kashmir.
Le due potenze hanno però sempre covato l'obiettivo di annettere l'intera regione e il fragile confine è stato spesso teatro di schermaglie. Miliziani musulmani, con l'appoggio di Islamabad, hanno spesso attaccato le truppe indiane nell'area e il separatismo armato è più volte sfociato nel terrorismo. L'attacco più sanguinoso fu quello compiuto nel novembre 2008 a Mumbai, quando militanti di Lashkar-e-Taiba, un'organizzazione jihadista pakistana, sconvolsero per quattro giorni la città con attacchi che costarono la vita a 160 persone.
Quindi la decisione di Modi è incostituzionale?
La questione è molto dibattuta. Pur essendo stato concepito come un provvedimento di natura transitoria, l'articolo 370 può essere sulla carta abrogato solo dall'Assemblea Costituente indiana, organismo che è però stato sciolto nel 1957. Una sentenza della Corte Suprema indiana aveva in seguito affermato che, una volta sciolta la Costituente, l'articolo è parte integrante della Costituzione. Dal momento che l'autonomia del Kashmir fu decisa con un decreto presidenziale poi vagliato dalla Costituente, Modi ha ritenuto che, in assenza di quell'organo, il solo decreto presidenziale, poi ratificato dal Parlamento fosse sufficiente.
Non è escluso che la Corte Suprema sia chiamata ad esprimersi di nuovo in materia. Più di un giurista ritiene che l'articolo 370 sia ora parte integrante della Carta e pertanto avrebbe dovuto essere emendato seguendo la procedura di revisione costituzionale.
Secondo un'altra tesi, dal momento che l'articolo 370 disciplina l'applicazione al Kashmir dell'articolo 1, quello sullo stato dell'Unione, una sua abrogazione avrebbe sancito di fatto l'indipendenza del Kashmir, dal momento che sarebbe venuto meno il presupposto dell'appartenenza del Kashmir allo Stato indiano. E questa interpretazione legale potrebbe essere il presupposto che consentirebbe al Pakistan di attaccare sostenendo di voler salvaguardare il diritto internazionale.
Perché la revoca dell'autonomia arriva proprio ora?
Lo scorso 14 febbraio le tensioni tra India e Pakistan si sono riaccese a causa di un attentato commesso da un kamikaze jihadista contro un convoglio di forze paramilitari indiane nel Kashmir meridionale. Morirono 40 soldati. Nuova Delhi rispose con un raid aereo in territorio pakistano, nei pressi di Balakot, che aveva come obiettivo dichiarato una base di Jaish-e-Mohammed, l'organizzazione terrorista che aveva rivendicato l'attentato. L'aviazione pakistana rispose sconfinando in territorio indiano, abbattendo un jet nemico e catturandone il pilota.
Fu il primo scontro aereo tra i due Paesi in cinquant'anni. Il pilota fu presto restituito all'India. L'incidente avvenne però in piena campagna elettorale e Modi ne approfittò per accentuare ulteriormente il nazionalismo della sua propaganda, promettendo ai sostenitori la totale annessione del Kashmir. Una promessa che, rieletto con una maggioranza schiacciante, ha mantenuto.
Qual è la posizione di di Cina e Stati Uniti?
Lo scorso 22 luglio Trump aveva accolto Kahn alla Casa Bianca e aveva dichiarato alla stampa che Modi gli aveva chiesto di mediare per evitare un'escalation in Kashmir. Modi ha negato una simile richiesta. Il Pakistan è un alleato storico degli Usa e Trump al momento ha bisogno di Khan perché faccia a sua volta da mediatore tra Washington e l'Afghanistan. L'India è invece, sin dalla Guerra Fredda, vicina alla Russia, che le ha spesso fornito tecnologie militari, e si era dotata di armi atomiche proprio per controbilanciare l'arsenale cinese.
Negli ultimi anni il quadro è però cambiato. Conclusa la Guerra Fredda, il Pakistan si è avvicinato alla Cina, che gli ha fornito le tecnologie per dotarsi della bomba atomica. Il motivo per cui Islamabad fu in grado di rispondere con tale rapidità al secondo test indiano fu proprio il sostegno di Pechino. La relazione negli anni successivi si è fatta ancora più stretta, il che ha spinto Trump a provare ad avvicinarsi a Modi per limitare l'influenza cinese nella regione. La Cina è infine parte in causa perché contende anch'essa all'India una parte del Kashmir, l'Aksai Chin.
Cosa sappiamo degli arsenali di India e Pakistan?
Secondo i dati del Sipri, il Pakistan ha tra le 150 e le 160 testate nucleari. L'India ne ha un po' meno, tra le 130 e le 140, ma può contare su missili a maggiore gittata, gli Agni III, che possono colpire fino a tremila chilometri di distanza, contro i duemila della gittata massima dei missili pakistani. A differenza del Pakistan, l'India possiede poi dallo scorso anno sottomarini nucleari, gli Ins Arihant, e missili da crociera in grado di colpire da terra, da aria e da mare, i BrahMos, sviluppati con la collaborazione dei russi. Se Islamabad ha più testate, Nuova Delhi ha quindi un arsenale più tecnologicamente avanzato.
Ma, in concreto, come potrebbe scoppiare una guerra nucleare?
L'India, come la Cina, ha proclamato che non userebbe mai la bomba atomica se non in risposta a un altro attacco nucleare. Una dottrina chiarita nel 1999, dopo i test pakistani. Islamabad, invece, non ha mai promesso niente del genere. La differenza che conta è però un'altra. Il Pakistan, a differenza dell'india, ha schierato una serie di piccole testate nucleari tattiche al confine con l'India. Lo scopo del dispiegamento è evitare che, nel caso di un altro grave attentato terroristico in territorio indiano, Nuova Delhi risponda facendo entrare divisioni corazzate in territorio pakistano, ovvero la cosiddetta dottrina 'Cold Start'.
I missili equipaggiati con le testate tattiche hanno una gittata tra i 55 e gli 80 chilometri e sono studiati quindi per rispondere a una massiccia invasione con forze di terra. Il problema è che, a differenza di quanto avviene in qualsiasi altra potenza nucleare, a decidere del loro utilizzo potrebbe non essere la massima autorità della nazione. Perché la deterrenza di queste testate sia credibile, nello scenario caotico di un'invasione, un alto ufficiale sulla linea del fronte deve essere in grado di autorizzare il loro impiego in autonomia o, quantomeno, sulla base di un'ampia delega.
La ragione per cui l'esplosione di una guerra nucleare tra India e Pakistan non è così improbabile è proprio perché basterebbe un generale troppo impulsivo se non un fanatico, una sorta di Jack D. Ripper del Dottor Stranamore, a innescare la catastrofe nucleare. E, considerando che Imran Khan è stato eletto senza l'appoggio dell'esercito, non è da escludere la presenza negli alti gradi delle forze armate di 'falchi' disposti a forzare la mano qualora, in un contesto bellico, giungano a dubitare della sua risolutezza. Ciò tacendo dell'ancora più concreta possibilità che una delle tante organizzazioni terroristiche che infestano l'area si impossessino di una testata a basso potenziale.