Il processo doveva aprirsi a Nairobi invece, in maniera inaspettata, si è aperto, ieri, proprio nel villaggio dove Silvia Romano è stata rapita il 20 novembre 2018, Chakama a 80 chilometri da Malindi in Kenya. I magistrati keniani, infatti, hanno portato i due appartenenti alla banda dei rapitori, rei confessi e arrestati il 26 dicembre, nel villaggio dove hanno allestito il tribunale in un’aula della scuola elementare di Chakama, per ascoltare i testimoni.
I due accusati hanno già ammesso le loro responsabilità e in parte hanno collaborato con le autorità keniane rivelando informazioni ritenute credibili e cioè che Silvia Romano fosse viva fino a dopo Natale e che sia stata ceduta ad un’altra banda criminale. Come riferisce il portale degli italiani in Kenya, malindikenya.net, diretto da Freddie Del Curatolo.
Sempre secondo malindikenya.net la decisione di iniziare le udienze proprio nel luogo del rapimento sarebbe stata dettata dalla necessità del magistrato di poter ascoltare tutti i testimoni di quella tragica sera, compresi coloro che sono stati feriti dai primi colpi di fucile AK 47, prima dell’irruzione nella stanza che ospitava Silvia Romano. Una decisione, inoltre, motivata dal fatto che nessuno dei testimoni sarebbe potuto andare a Nairobi e nemmeno a Malindi per mancanza di risorse.
Oggi il processo ai due sequestratori prosegue, ma questa volta verrà celebrato alla Corte di Malindi. Non si conoscono i tempi per la sentenza, anche se i magistrati avevano fissato due giorni di udienze, il 29 e il 30 luglio. L'esito, tuttavia, pare essere scontaoa. Non è dato sapere se nel corso dell’udienza potranno emerge altri particolari sul rapimento della giovane italiana.
I due appartenenti alla banda dei rapitori hanno fornito informazioni che, secondo gli inquirenti, sono credibili e cioè che la giovane volontaria italiana sia stata in vita fino a Natale e che, poi, si passata di mano ad un’altra banda di criminali ben più organizzata e capace di gestire l’ostaggio e le eventuali trattative. Questo è ciò che hanno fatto trapelare gli inquirenti. Non si sa nulla di più. Di certo, secondo le ultime informazioni, le indagini e le ricerche hanno preso un nuovo slancio, che si seguono ipotesi investigative precise, ma quali siano queste non è dato saperlo. Gli investigatori, sul punto, mantengono il riserbo proprio per evitare che questi ipotesi possano venire compromesse.
C’è però un fatto rilevante, e cioè che proseguono le ricerche, le attività di intelligence fervono. Questo significa che le autorità italiane, i carabinieri dei Ros e i servizi segreti italiani, in concerto con le autorità del Kenya, non solo indagano ma anche con una direzione, probabilmente precisa.
Che le indagini avrebbero preso una direzione precisa, il condizionale è d’obbligo, è determinato anche dal fatto che i carabinieri del Ros, così come concordato durante il vertice di Roma del 12 luglio, torneranno a Nairobi. La nuova missione ha lo scopo di acquisire nuovo materiale probatorio raccolto dalle autorità locali, che sono al lavoro per catturare cinque degli otto elementi della banda di sequestratori – due sono sotto processo, un terzo elemento fermato dalla polizia, e cioè un cittadino somalo di 35 anni, trovato in possesso di una delle armi utilizzate in quel blitz in cui rimasero feriti anche due minori, ha ammesso le sue responsabilità - ma, soprattutto, per continuare a indagare, investigare e cercare possibili nascondigli dove Silvia è privata della libertà.
L’altro dato è che, dopo le iniziali difficoltà di cooperazione tra autorità italiane e keniane, il vertice ha definito una piena collaborazione per arrivare a una soluzione positiva della vicenda del sequestro della giovane italiana e lo scambio di informazioni avvenuto in quella occasione ha dato nuovo slancio alle indagini.