Da Lampedusa a Londra a bordo di un barcone, uno di quelli con cui i migranti cercano di raggiungere l’Europa lasciandosi alle spalle il continente africano. Quattromila miglia attraversate in solitaria su un’imbarcazione di legno lunga nove metri, pitturata di verde dentro e fuori, con qualche spruzzata di bianco e di rosso che la fanno assomigliare a una sorta di bandiera italiana.
Su quel barcone, a marzo 2012, c’erano arrivate 36 persone che erano salpate dalle coste del nord Africa. Un anno più tardi a bordo ci sarebbe salita Lucy Wood, un’artista britannica che da qualche mese si era sistemata proprio a Lampedusa.
Quattro mesi su un barcone
Il barcone, che ora è a tutti gli effetti un’opera d’arte (ed è stata esposta alla mostra Sink Without Trace curata da Federica Mazzara e Maya Ramsay), si chiama 'TO6411', lo stesso nome con cui venne registrato dalle autorità italiane al momento del salvataggio nei pressi delle coste siciliane. “Ho vissuto l'intero progetto come un grande esperimento sociale umanitario”, racconta Wood all’Agi.
Ha chiesto il permesso per prendere un barcone di quelli di cui da anni sono piene le cronache, l’ha messo in sicurezza - “ma sempre cercando di mantenerne il più possibile le caratteristiche originarie” - e poi è salpata. Da Lampedusa, 205 chilometri più in là delle coste della Sicilia, fino a Londra, sul Tamigi.
Partenza il 20 giugno 2013, nella Giornata mondiale dei profughi, e arrivo quasi quattro mesi più tardi, il 15 ottobre. In mezzo la risalita sulla costa tirrenica, la navigazione su Rodano, sulla Saona, e poi la Marna, i canali di Fiandre e Vallonia, quelli olandesi fino ad Amsterdam, e poi ancora la Manica risalendo sempre più a nord.
Da allora è nella capitale inglese dove i passanti possono guardarla, salirci a bordo, provare a capire. “Le persone non devono pagare e non devono necessariamente interagire con la barca. Ovviamente possono farlo, e io osservo il modo in cui reagiscono”, spiega l’artista.
“A Lampedusa? Mi dicevano che io piacevo, ma il mio progetto no”
A bordo, Wood ha voluto che il barcone rimanesse il più possibile com’era: dentro c’è ancora un po’ di tutto, dai giubbotti di salvataggio a qualche oggetto lasciato dagli ospiti reduci dalla traversata del Mediterraneo.
“Immagino che per qualche tempo il progetto mi abbia reso leggermente anti-occidentale agli occhi di qualcuno. Di chi ha visto la barca come una parte di me stessa, e di chi l’ha interpretata come un'estensione della crisi migratoria che ha spinto qualcuno a sfruttarla”, ricorda oggi Wood. “È qualcosa che ho trovato molto strano, non ne ero assolutamente preparata”.
Allo stesso tempo, però, quel progetto le ha consentito di vedere la reazione della gente: disinteresse, sospetto, paura, poi curiosità, apprezzamento, quell’ampia gamma di emozioni che ognuno prova di fronte a un pezzo di vita altrui.
“All’inizio, a Lampedusa, c'era una totale mancanza di disponibilità e volontà di capire il significato del progetto, oltre al grande sospetto su quali fossero le mie intenzioni”, racconta Wood.
“Mi dicevano spesso che a loro piacevo io, ma non il mio progetto”. Oggi, però, è sicura che se questa esperienza l’avesse fatta nel 2019 “sarebbe molto diverso”.
Il naufragio del 3 ottobre 2013
Invece era il 2013, e mentre lei arrivava nei pressi di Utrecht, nei Paesi Bassi, quasi al termine del suo viaggio, un barcone con oltre cinquecento persone affondava a poche miglia da Lampedusa. Era il 3 ottobre. “Camminavo per le strade di Nieuwpoort, un paesino che era una ‘scatola di cioccolati’, tutto cottage, dighe e ponticelli – si legge nel diario che ha scritto giorno per giorno durante il viaggio - Sembrava tutto fatto di marzapane. Poi sono entrata in un bar vivacissimo: a metà del mio sandwich ho sentito la parola Lampedusa dalla televisione laggiù nell’angolo”. In acqua erano annegate 368 persone, a mezzo miglio dalla costa.
“TO6411 rappresenta le scelte disperate e i rischi che le persone prendono per farsi una nuova vita - spiegava Wood al momento della partenza - Sto intraprendendo questa esperienza come un viaggio puramente umanitario, ispirato dallo shock che ho provato quando ho visto la prima imbarcazione migranti a sbarcare a Lampedusa”.
Oggi, che ricordo le è rimasto? “Le prime tappe, quando attraccavo per la notte, mi chiedevano quando ripartissi e mi mandavano nel porticciolo dei pescatori, lontano dalla vista di chiunque. È stato deprimente, perché avrei voluto che il mio lavoro facesse prendere coscienza del tema delle migrazioni alle persone, ma è stato anche illuminante: ho capito che mi vedevano proprio come le persone che stanno su quei barconi”.