L'eterna sfida Italia-Germania, ancora una volta divisi. O perlomeno contrapposti su tre grandi fronti: dal braccio di ferro sulle nomine Ue, alla vicenda Thyssen passando per la vicenda Sea Watch, mai come adesso la polemica tra Berlino e Roma conosce toni accesi, per non dire aspri.
La disputa sulle nomine
A Bruxelles non si sa ancora come andrà a finire, ma è un fatto che il niet dell'Italia è stato determinante nel provocare lo stallo del vertice europeo della notte scorsa, incagliatosi proprio sul piano proposto dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, che prevedeva un accordo per collocare il socialista Frans Timmermans alla guida della Commissione e un passo indietro del popolare Manfred Weber in cambio della presidenza dell'Europarlamento.
"L'Italia non può accettare un pacchetto precostituito nato altrove", è il verdetto di Giuseppe Conte a Bruxelles. È "il metodo", spiega il premier, a non andar giù all'Italia: "Ci siamo ritrovati all'incirca in 10-11 Paesi" a esprimersi contro il piano Merkel, insiste Conte, anche se "confido che domani si possa trovare una soluzione alternativa".
Una posizione che riecheggia quella espressa ieri dal ministro dell'Interno Matteo Salvini, che aveva escluso un voto italiano per un candidato socialista al vertice della Commissione. Una saldatura di fatto tra il nostro Paese e i 4 di Visegrad (Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria) di cui Merkel appare pienamente consapevole: "Meglio trovare un compromesso che votare contro 100 milioni di abitanti", ha detto la cancelliera dopo la maratona negoziale notturna, intendendo appunto un voto contro "Visegrad oppure l'Italia".
Il dibattito su Carola Rackete
Inutile aggiungere che fatalmente il tema delle nomine si intreccia con quello sull'eventuale procedura d'infrazione nei confronti del nostro Paese: se ne doveva parlare domani, ma risulta che anche questa questione slitti, non si sa fino a quanto. Altrettanto frontale la contrapposizione tra Italia e Germania sul destino della capitana della Sea Watch, Carola Rackete, che ha avuto un notevolissimo impatto sull'opinione pubblica tedesca, coinvolgendo anche famosi presentatori tv come Jan Boehmermann - che ha lanciato persino una raccolta fondi a favore della capitana - prelati di primo piano come il vescovo di Essen Franz-Josef Overbeck e persino il numero uno della Siemens, Joe Kaeser, secondo il quale "persone che salvano vite non dovrebbero essere arrestate".
Un'onda che ha indotto persino il presidente della Repubblica tedesca, Frank-Walter Steinmeier, a rivolgersi all'Italia con parole molto nette, affidate ad un'intervista con la Zdf: "Coloro che salvano delle vite non possono essere considerati criminali", ha spiegato il capo dello Stato, aggiungendo che "l'Italia è uno Stato fondatore dell'Ue, quindi ci si aspetterebbe che un caso del genere sia gestito diversamente".
Il tema della "non-criminalizzazione" di chi salva i migranti in mare era già stato posto il giorno precedente dal ministro degli Esteri Heiko Maas, che oggi è stato ancora più esplicito: "Dal nostro punto di vista, secondo un procedimento basata sullo Stato di diritto, può esservi solo la liberazione di Carola Rackete". Un approccio che non va giù a Salvini, che chiede al capo dello Stato tedesco "di occuparsi di ciò che accade in Germania e, possibilmente, di invitare i suoi concittadini a evitare di infrangere le leggi italiane", ma neanche al premier Conte, che ieri ipotizzava "un ricatto politico messo in atto attraverso l'uso strumentale della vita di 40 persone".
Il casoThyssen
D'altronde, è stato lo stesso Conte a cogliere l'occasione per tirare in ballo il caso Thyssen, una dolorosa vicenda che da anni vede contrapposti Germania a Italia: "Se la cancelliera mi chiederà della Sea Watch - aveva detto ieri il premier - può essere l'occasione per chiedere a che punto è l'esecuzione della pena dei due manager della Thyssen condannati in Italia con regolare processo che si è esaurito in tutti i gradi di giudizio".
Il riferimento è alla tragedia del 6 dicembre 2007 presso la ThyssenKrupp di Torino, quando un'esplosione causò la morte di sette operai. Una vicenda che si è portata dietro un'intricatissima scia giudiziaria, una querelle infinita sull'esecutività delle condanne dei due manager del gruppo tedesco, Herald Espenhahn e Gerald Priegnitz, il primo a 9 anni, il secondo a 6.
Prima una richiesta di estradizione dichiarata non ammissibile, poi una serie di rinvii e in più persino una errata traduzione della sentenza definitiva hanno finito per trascinare il caso avanti per anni. L'ultimo atto, fino ad adesso, è che a febbraio il tribunale di Essen ha dichiarato ammissibile l'esecuzione delle sentenze di condanna: tuttavia, dato che i due manager impugnato la decisione, non potranno essere arrestati prima che si pronunci un'ulteriore corte d'appello. E il tempo passa.