Hanan ha 45 anni, un divorzio alle spalle e sette figli; vive nel quartiere di Altindag, ad Ankara, chiamato ufficiosamente 'Little Aleppo' per l'alto numero di siriani che vi risiedono. In Turchia è arrivata quattro anni fa, insieme alla nuora, per raggiungere il figlio maggiore, Alì, oggi 26enne, colpito a un ginocchio in Siria.
Hanan è una degli 1,6 milioni di beneficiari dell'Emergency Social Safety Net (Essn), programma di assistenza economica finanziato dall'Unione europea e gestito dal World Food Programme (Wfp) insieme alla Croce Rossa Turca (Tk), in collaborazione con il ministero per i Servizi Sociali turco.
Il progetto rientra nel contestato accordo stretto nel 2016 da Bruxelles con Ankara per bloccare l'ondata di migranti siriani in cambio di sei miliardi di euro fino al 2019 per assisterli all'interno dei confini turchi. All'epoca alcuni gridarono allo scandalo per quello che videro come un 'assegno' dell'Ue al presidente turco Recep Tayyip Erdogan per fare il poliziotto al posto di Bruxelles.
Tra gli effetti visibili di quell'intesa, c'è la vita di Hanan e dei suoi figli e nipoti: una famiglia di rifugiati siriani che, grazie all'Essn, cerca di vivere una vita dignitosa affrontando in un Paese straniero le ristrettezze, i traumi della guerra civile lasciata alle spalle e una situazione economica sempre più difficile.
Dal dicembre 2016 a oggi 1,6 milioni di rifugiati - per la stragrande maggioranza siriani, ma anche iracheni, afghani e iraniani - hanno aderito al programma: ogni mese ricevono 120 lire turche (pari a circa 18 euro) l'uno che vengono caricate su una carta di debito, 'Kizilaykart', con la quale fare compere nei negozi, prelevare ai bancomat o fare pagamenti, in primis affitto e bollette.
Sono i rifugiati che scelgono liberamente come utilizzare il denaro, un fattore importante di 'self-empowerment', nell'ottica di lasciare progressivamente l'assistenza a favore della costruzione di un'autosufficienza.
"Ad avvisarmi del programma è stato il mukhtar (il capo villaggio)", racconta a un gruppo di giornalisti, tra cui l'Agi, seduta sul divano dell'appartamento in affitto che condivide con i suoi tre figli minori, il 15enne Amin, l'11enne Bera e Hasan di 5 anni, insieme al figlio più grande, sua moglie e i loro due figli piccoli, un maschietto e una femminuccia.
Altre due figlie sono sposate e vivono in Giordania mentre un quinto figlio, il 24enne Ahmad, dopo un periodo in Turchia, è tornato in Siria. La donna è arrivata quattro anni fa da Hama e, grazie al programma Essn, riesce a gestire una quotidianità difficile. "Mio figlio lavora come falegname, non ha un contratto regolare e a volte per i dolori alla gamba si assenta. Il mese scorso gli hanno pagato una sola settimana di lavoro".
"In precedenza siamo stati costretti a chiedere soldi in prestito agli amici e vendere le nostre cose", oggi "otteniamo 960 lire al mese per 8 beneficiari, la metà se ne va in spese per l'igiene, soprattutto pannolini, più la spesa al supermercato". L'appartamento è al terzo piano di un edificio che ha visto tempi migliori, con scale ripide che "sono un problema per Alì, ma trasferirci costerebbe troppo", ammette.
La sua preoccupazione ora sono i figli più piccoli, Bera "è bravo" a scuola, sottolinea orgogliosa, mostrando le pagelle. Lui confessa che gli piacciono le lezioni di lingua turca e da grande vuole fare il medico. "Spero che il programma di assistenza vada avanti", continua la madre, che su questo aiuto conta per un'esistenza dignitosa, anche se è sempre più difficile a causa della stagnazione dell'economia.
Negli ultimi anni l'inflazione ha portato a un innalzamento dei prezzi dei generi alimentari di base e dei servizi (un esempio per tutti sono le cipolle, ingrediente base della cucina turca, il cui prezzo è quadruplicato in un anno). Una condizione che colpisce tutte le fasce svantaggiate, rifugiati e non. Da qui, spiegano dal Wfp, la decisione di non aumentare l'assistenza economica ai rifugiati "per non creare tensioni sociali" con i turchi, loro stessi beneficiari di programmi di assistenza da parte del governo di Ankara. D'altra parte, sottolinea Nils Grede, capo missione Wfp nel Paese anatolico, il deprezzamento della lira turca ha permesso anche di accantonare risorse per prolungare il programma di altri sei mesi.
L'Essn ha avuto finora un discreto successo: come sottolinea Grede, "2,6 milioni hanno fatto domanda, quasi il 60% delle richieste sono state accolte, mancano ancora all'appello 1,4 milioni di rifugiati". I criteri per rientrare nell'operazione sono diversi: si privilegiano donne sole, un genitore solo con figli, prole numerosa, la presenza di una persona disabile o di anziani nel nucleo familiare. Per accedervi i rifugiati devono registrarsi presso un ufficio della assistenza sociale turca e indicare un indirizzo; appurata la loro idoneità, ottengono la carta sulla quale mensilmente vengono caricati i soldi.
Secondo le statistiche, le Kizilaykart vengono principalmente usate per pagare l'affitto e le bollette (33%), dal momento che il 97% dei rifugiati vive in città e non nei campi, per comprare cibo (44%) e medicine (6%), ma anche per telefonare e mantenere i contatti con la rete familiare rimasta in Siria.
Gli ostacoli affrontati non sono stati pochi, ricorda Jonathan Campbell, vice direttore Wfp in Turchia, riferendosi in particolare alla difficoltà di registrarsi per persone che non parlano la lingua locale e una volta passato il confine hanno la tendenza a spostarsi nel Paese; senza contare che la procedura richiede un indirizzo e diversi non ce l'hanno perché risiedono in zone non residenziali, in tende o addirittura in grotte.
Le autorità turche hanno dimostrato grande flessibilità e sono di aiuto anche i call center attivati, con operatori che rispondono in cinque lingue (turco, inglese, arabo, farsi e pashtun). L'obiettivo resta quello di rendere indipendenti sempre più persone, dando loro le capacità per trovare un lavoro e guadagnare l'autosufficienza. Se la sfida iniziale è stata quella di far partire il programma e far sì che i rifugiati aderissero, ora si punta a dare loro autonomia, consapevoli della difficile situazione economica del Paese.