L'Europa torna alla casella di partenza. Alla fine di un Consiglio europeo che alla vigilia sembrava poter essere decisivo per il futuro dei vertici dell'Unione, i leader prendono atto del mancato accordo sulle nomine e rinviano tutto di dieci giorni. Un altro summit è già in agenda per domenica 30 giugno, al rientro dei capi di Stato e di governo dal G20 di Osaka. Nel frattempo le trattative andranno avanti su canali più o meno riservati.
Emmanuel Macron incassa una vittoria per aver definitivamente affossato l'ipotesi di uno 'Spitzenkandidat' alla guida della Commissione: né il Popolare Manfred Weber, nè il Socialista Frans Timmermans e nemmeno la Liberale Margrethe Vestager, salvo colpi di scena, siederanno sulla poltrona di Jean-Claude Juncker ("noto con un certo piacere che sostituirmi non è così facile", dice perfido il lussemburghese dopo la fumata nera del Consiglio).
L'Italia ai margini
Angela Merkel registra senza grande dispiacere l'uscita di scena di Weber, il suo candidato in realtà già pesantemente azzoppato dalla mancanza di maggioranza in Parlamento, e continua a negare con decisione l'eventualità di una sua discesa in campo, e si prepara a un nuovo round. L'Italia resta al margine della partita e lo stesso presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, oltre a essere poco coinvolto negli scambi tra i leader (anche il secondo giorno di vertice si è registrato l'iper attivismo di Macron e un Pedro Sanchez sempre più presente nelle dinamiche che contano) ha ammesso che "per i criteri dell'affiliazione politica l'Italia non è in gioco".
Donald Tusk, che ha il mandato dei governi di tessere la tela tra i desiderata delle Cancellerie e le forze politiche in Parlamento, ha già sentito i capigruppo e li vedrà lunedì. Proprio dall'Eurocamera nei prossimi giorni arriverà con ogni probabilità qualche segnale sul prosieguo del negoziato. I leader dei quattro gruppi di maggioranza continueranno a vedersi per elaborare una posizione comune non solo sui nomi, ma anche su un programma di legislatura, dopo lo stallo registrato la settimana scorsa su migranti e politiche economiche.
Il Parlamento si riunirà per la prima volta nella sua nuova veste il 2 luglio a Strasburgo, e questo è il motivo per cui i governi si rivedranno 24 ore prima, per provare ad accelerare su un accordo ed evitare che il Parlamento faccia la prima mossa in 'autonomia'.
Alla fine del gioco, tutti i pezzi del mosaico dovranno combaciare.
I nomi più quotati
Le caselle dei cinque 'top jobs' (presidente della Commissione, del Consiglio Ue, del Parlamento, alto rappresentante e capo della Bce) dovranno essere riempite. Dai negoziati dovrà emergere un pacchetto di nomi che soddisfi i criteri politici, geografici e di genere dell'Unione europea che verrà. I nomi circolati in questi giorni ('Spitzen' esclusi) sono tutti ancora sul tavolo, con quotazioni più o meno diverse. Non è escluso che si torni a parlare di Michel Barnier (francese e Popolare) per la Commissione, così come dei dei liberali Charles Michel, premier belga e Mark Rutte, primo ministro olandese per il Consiglio. Per la presidenza del Parlamento il borsino quota ancora la giovane tedesca Verde Ska Keller e il liberale Guy Verhofstadt.
Ultimo, ma non ultimo, resta da riempire lo spazio lasciato libero da Mario Draghi alla presidenza della Bce, salutato oggi da un lungo applauso dei leader in occasione del suo ultimo Eurosummit. I nomi in lizza rimangono quelli del tedesco Jens Weidmann, cui Macron ha riservato una perfida stilettata in conferenza stampa ("sono contento che si sia convertito alle misure di Draghi, Ne traggo una lezione di ottimismo per la natura umana", ha detto il capo dell'Eliseo) dei finlandesi Olli Rehn e Erkki Liikanen, e dei francesi Francois Villeroy de Galhau e Benoit Coeure. La partita è apertissima e non è escluso che dal cilindro di Tusk o dei governi possano venire fuori degli outsider. Nei prossimi dieci giorni il quadro sarà più chiaro.