All'epoca del referendum sulla Brexit, furono due le nazioni del Regno Unito dove prevalsero i voti per il 'Remain'. L'Irlanda del Nord, con il 55,8%, e la Scozia, con una maggioranza ancora più ingente, il 62%, laddove in Inghilterra e in Galles il 'Leave' si impose con, rispettivamente, il 53,4% e il 52,5%. La spiegazione è semplice. Per Belfast ed Edimburgo restare nell'Unione Europea significa essere sottoposte in maniera meno diretta al governo di Downing Street.
Per questo la premier scozzese, Nicola Sturgeon, ha chiesto un secondo referendum per l'indipendenza da svolgersi entro il maggio 2021, quando si terranno nuove elezioni per la Camera di Holyrood, il Parlamento di Scozia. Il primo, tenutosi nel 2014, fallì, con il 55,3% dei no all'uscita dalla Gran Bretagna. Nel frattempo, però, con la Brexit il quadro è completamente cambiato. La maggior parte degli elettori scozzesi sembra non voler seguire Londra nel suo divorzio da Bruxelles e Sturgeon è quindi convinta non solo che l'esito di una nuova consultazione sarebbe ben diverso ma che il governo centrale, al quale spetta dare il via libera al referendum, non possa negare alla Scozia di poter decidere sul futuro dei propri rapporti con l'Unione Europea.
Lo strappo sulla 'Brexit Bill'
Il clima tra Edimburgo e Londra, dopo la vittoria dei 'Leave', si è però progressivamente deteriorato. Lo strappo più clamoroso risale al maggio 2018, quando il parlamento di Holyrood si rifiutò di ratificare il provvedimento che dava via alla Brexit. Un voto non vincolante, certo, ma che lanciò un messaggio politico inequivocabile. A essere respinta, nello specifico, era stata la clausola 11 della Brexit Bill, la quale prevede che tutti i poteri che erano stati delegati a Bruxelles sarebbero tornati, in un primo momento, a Downing Street.
La clausola copre un numero assai esteso di materie, che vanno dagli Ogm alle quote per la pesca, dai sussidi all'agricoltura agli aiuti di Stato alle industrie. Materie che ora sono competenza della Commissione Ue e che tornerebbero esclusivo appannaggio di Londra. Sturgeon nei mesi successivi avrebbe chiesto più volte un trasferimento di questi poteri, ottenendo sempre da Theresa May un secco rifiuto.
Sturgeon rafforzata dalle Europee
È pressoché dall'indomani del voto sulla Brexit che Sturgeon chiede un altro referendum. La novità è che mercoledì scorso il testo che ne chiede l'istituzione è stato emesso dal governo scozzese, sulla scia del risultato record, il 38%, incassato dallo Scottish National Party (Snp) di Sturgeon alle elezioni europee, al termine di una campagna incentrata sull'opposizione alla Brexit. Il disegno di legge dovrà essere approvato entro la fine dell'anno ma, su questo fronte, non dovrebbero esserci difficoltà, data la solida maggioranza pro-Remain composta dallo Snp e dai Verdi.
La Scozia, ha tuonato Sturgeon, deve avere "l'opportunità di scegliere di essere una nazione europea indipendente invece di vedersi imposto un futuro di Brexit". Edimburgo ha detto "forte e chiaro di essere una nazione europea", le ha fatto eco il ministro per gli Affari Costituzionali, Michael Russell, sostenendo che lo scenario di una Brexit senza accordo "soddisfa in pieno" i presupposti per un nuovo referendum.
Per i critici la secessione costerebbe miliardi di sterline
Adam Tomkins, esponente dei Conservatori scozzesi, schierato con il 'Leave', ha bollato il testo come "una presa di potere su scala industriale", animata "non dalla democrazia del lasciare il popolo decidere in un referendum legale" ma "dal diktat di una premier ossessionata dall'indipendenza". Altri critici sostengono che una secessione comporterebbe tagli alla spesa per miliardi di sterline. Sturgeon ha replicato che in estate lancerà un piano per l'indipendenza economica che chiarirà come Edimburgo potrà camminare sulle proprie gambe.
Il punto rimane però che spetta a Downing Street decidere se dare il via libera a un secondo referendum. E numerosi esponenti conservatori candidati a prendere il posto di Theresa May, da Rory Stewart a Sajid David, hanno già chiarito che non intendono concederlo.
Sturgeon può solo sperare nell'effetto sull'opinione pubblica internazionale di un no di Londra alla consultazione, ammesso che questo genere di pressioni possa avere effetto. "Sarebbe un oltraggio per la democrazia se il governo cercasse di bloccare un simile referendum", ha dichiarato la premier. Quel che è certo è che, se un secondo voto si tenesse e il risultato fosse lo stesso del primo, di un'indipendenza della Scozia non si parlerebbe più per parecchio tempo.