“Ma sai che somiglia a coso là, quello di True Detective...Woody Harrelson. Dai, usiamo la sua foto per il riconoscimento facciale”. Dev'essere andata più o meno così in una stazione di polizia di New York. Gli agenti hanno identificato un uomo accusato di furto usando una foto dell'attore. Il caso, che risale al 2017, è stato raccontato nel rapporto “Garbage In, Garbage Out: Face Recognition on Flawed Data” del Georgetown Low Center on Privacy & Technology. Potrebbe sembrare solo una curiosità. In realtà evidenzia una prassi adottata in una dozzina di dipartimenti americani e l'approssimazione con sui si utilizza il riconoscimento facciale.
Il sosia ricercato
Il 28 aprile un uomo è stato sorpreso dalle telecamere mentre rubava delle birre in un supermercato. L'obiettivo ha catturato il volto, con capelli lunghi e pizzetto, senza però offrire un'immagine con una definizione sufficiente. Quando l'intelligenza artificiale ha scandagliato gli archivi della polizia, non ha trovato nulla. Un agente ha allora individuato la somiglianza: il sospettato sembra Woody Harrelson. È bastato allora andare su Google, cercare e scaricare un'immagine dell'attore e darla in pasto al sistema di riconoscimento facciale. Che questa volta trova alcune corrispondenze, tra le quali i poliziotti individuano il colpevole.
I rischi del “metodo Harrelson”
Sfruttando l'assenza di regole, la polizia americana usa il riconoscimento facciale (che non offre garanzia neppure in caso di immagini e volti chiari) con troppa leggerezza. Sceglie “le somiglianze” con i personaggi noti (oltre a quello di Harrelson, è stato utilizzato il viso di un giocatore dei New York Knicks per trovare un aggressore a Brooklyn) o la composizione digitale del volto, facendo una sorta di collage. Un po' come i classici identikit, che - spiega il rapporto – hanno una componente soggettiva che lo rende un metodo tutt'altro che sicuro. Insomma, qualcosa di più vicino all'esercizio artistico che al metodo scientifico. L'utilizzo della tecnologia rischia di peggiorare le cose, perché induce a scambiando l'algoritmo per verità assoluta. Una pratica, afferma il Low Center on Privacy & Technology, che si presta “alla possibilità di un'identificazione errata”. Tradotto: la persona che somiglia all'attore potrebbe essere un innocente.
Perché servono nuove regole
Non si sa quante persone siano state arrestate con il “metodo Harrelson”, ma – spiegano i ricercatori - si tratta di “un problema che diventerà molto più grande”. È vero che “i sistemi di riconoscimento facciale diventeranno più accurati”, ma “questi miglioramenti non contano molto se non ci sono norme che regolino ciò che la polizia può utilizzare”. Tra le regole minime indicate da Georgetown c'è il divieto di usare le somiglianze con le celebrità, per la semplice ragione che il riconoscimento facciale è un sistema biometrico che, come tale, è personale. Divieto anche per identikit, sia a matita che digitali, per cercare corrispondenza negli archivi.
Dovrebbero essere individuati degli “standard minimi” per la qualità delle foto, al di sotto dei quali l'immagine non può essere utilizzata in alcun modo. Né nella sua interezza né come fonte da cui prendere occhi o bocca per comporre un identikit. Costruire una prassi a cui gli agenti devono attenersi per indagare su un sospetto e prima di arrestare. Mettere a disposizione delle difese tutti gli elementi che riguardano il riconoscimento facciale, dalla foto originale fino alla procedura utilizzata). Lo studio chiede che, in attesa che vengano definite regole precise, ci sia “una moratoria sull'uso del riconoscimento facciale”, in linea con quanto fatto da San Francisco e con una proposta di legge che punta al divieto nelle aree residenziali.