Sul suo salvagente ci ha scritto “Le Vagabond”, ovvero “il vagabondo”, ma sarebbe troppo semplice riassumere la follia, il senso di avventura, di Jean-Jacques Savin con uno stile di vita sopra le righe.
Savin non è un vagabondo, è uno sportivo, un tecnico del rischio, un uomo che, a 71 anni ha deciso di costruirsi da solo un barile lungo 3 metri e largo 2,10, metterci dentro una minuscola cucina e un letto, e attraversarci l’oceano Atlantico trasportato semplicemente da venti e correnti.
È partito dalle Canarie, al largo delle coste dell'Africa, il 26 dicembre 2018, dirigendosi a ovest; ci ha messo quattro mesi, ma alla fine, la scorsa settimana, poco dopo la mezzanotte, è approdato sulla piccola isola caraibica olandese di St. Eustatius. 2.930 chilometri in balìa dell’oceano, viaggiando a poco più di 3 km/h, portando con sé solo una canna da pesca per procurarsi il cibo, una bottiglia di bianco da stappare a capodanno e una di rosso in occasione del compleanno.
Poi solo materiale tecnico, per aiutare DSEM e JCOMMOPS per una ricerca marina senza eguali, e l’attrezzatura per essere monitorato. Non per paura di non farcela, ma perché lo stesso Savin è diventato un esperimento vivente che ha incuriosito i medici del Wallerstein Medical Center di Arès, sua città natale, che studieranno e valuteranno la risposta di Savin a solitudine, comportamento interno limitato, impatto del movimento permanente e molto lento.
Come se ne esce, in pratica, dopo aver letteralmente attraversato l’oceano Atlantico da solo dentro una botte, passando il tempo ad osservare i pesci passare attraverso un oblò. In realtà questa è solo una, probabilmente non l’ultima, di una serie innumerevole di imprese di un vero avventuriero; un avventuriero che nella sua vita ha attraversato quello stesso oceano quattro volte in barca a vela, che nel 2015 ha scalato il Monte Bianco, che nel 2017 (quindi a 69 anni) è arrivato secondo nel campionato francese di triathlon e nella sua vita, come lavoro, è stato paracadutista militare e ranger nel Parco Nazionale dell'Africa Centrale.
Appena giunto a destinazione e toccato terra per la prima volta nel 2019 è riuscito solo a dire, e poi pubblicare su Facebook, “Tutto ha una fine ... finalmente, eccomi alla fine di questa avventura”, ma dubitiamo sia l’ultima, dubitiamo vederlo da domani seduto a dar da mangiare alle papere dei giardinetti di Arès.