La prospettiva della Brexit alle porte ha scatenato una vera e propria corsa alla richiesta del passaporto della Repubblica d’Irlanda tra i sudditi del Regno Unito che possono vantare (e sono tanti) anche una sola goccia di sangue irlandese.
I numeri parlano chiaro: nei primi due mesi del 2019 le richieste sono state 230.000. Per intenderci: il doppio della popolazione di Cork, cioè della seconda città del Paese.
Radici
Si calcola ora che senza grande sforzo possa essere superato il numero record dello scorso anno, quando le richieste di passaporto furono 860.000. L’analisi delle richieste dei 12 mesi passati spiega moltissimo riguardo a cosa abbia spinto quasi un milione di persone a scoprire che le proprie radici affondano tra Tipperary e Cashel.
Anche se il governo irlandese, interpellato a riguardo, mantiene una rispettosa discrezione per non mancare di riguardo a nessuno, le motivazioni allegate ai moduli di richiesta sono inequivocabili quanto riassumibili in una parola: Brexit.
La Brexit magari non è citata esplicitamente, ma chiaramente pesa dietro quelle centinaia di migliaia di giustificazioni che vanno dal “necessità di viaggiare liberamente, soprattutto per motivi di lavoro” al meno diplomatico “essere in piena sintonia con il mio sentirmi europeo”.
Anche la provenienza geografica delle richieste è molto indicativa. Il 10 percento di quelle depositate lo scorso anno, vale a dire ben 85.000, provengono dall’Irlanda del Nord.
La confessione religiosa c’entra ben poco: i cattolici di lì non se ne sono mai voluti andare nemmeno quando c’era la guerra civile. Ora però il discorso è un altro, e si chiama confine.
La Brexit, come si va profilando finora, spaventa e non poco. È un caos in cui Londra prima ha detto no ad un accordo che manteneva il senso degli Accordi del Venerdì Santo (cioè l’annullamento della frontiera tra le due Irlande) per poi spaventarsi di fronte all’idea del backstop (il mantenimento di un’unione doganale tra Irlanda del Nord ed Ue) per – infine – dire che un accordo purché sia deve essere raggiunto.
Perché il “no deal”, l’uscita del Regno Unito dall’Ue senza intese di sorta, fa veramente paura. A tutti.
Inevitabile che quel confine non lo vogliano per primi quelli che più di tutti lo subirebbero, magari restando dalla parte sbagliata della sbarra banca e rossa.
Ecco allora come gli abitanti dell’Ulster riscoprano, magari con qualche generazione di ritardo, l’esistenza di un prozio amatissimo che veniva dal Kerry o di una lontana cugina che ancora abita a Waterford. In Irlanda i legami familiari sono fortissimi, si sa.
"Siamo europei"
Discorso analogo, ad ogni modo, anche per il resto del Regno Unito, dove le richieste di passaporto irlandese sono state 99.000. Più del doppio rispetto al 2015, l’ultimo anno in cui ci si illuse che il referendum sul Leave fosse solo la fantasia di un pittoresco personaggio chiamato Nigel Farage.
A scanso degli ultimi dubbi residuali si rifletta su ulteriore dettaglio: sempre dai moduli spediti sul sito del governo di Dublino si legge che i richiedenti non nutrono, se non in minima parte, alcun desiderio di tornare alla terra degli avi.
Semmai guardano a Francia, Germania o addirittura alla Spagna (all’Italia ben poco). E scrivono, senza lasciar spazio ad altre spiegazioni magari più consolatorie: “Ora mi sento europeo”. Ed europei intendono restare.