La strage di musulmani in Nuova Zelanda arriva in un momento nel quale il terrorismo di matrice islamica ha subito colpi mortali e sembra avviato lungo la china della sconfitta in quei territori nei quali si era autoproclamato “Stato”. Marginalizzato e ridimensionato, può però trarre nuova linfa dall'odioso attacco nelle moschee di Christchurch e in molti ora si chiedono se sia da tenere - o, peggio, da aspettare - un rigurgito di violenza islamista sotto forma di vendetta. Ne abbiamo parlato con Carlo Biffani, esperto di sicurezza.
Cosa dobbiamo aspettarci?
Come ho già detto pubblicamente sin dal primo momento, temo fortemente che questo barbaro attacco contro innocenti possa scatenare, come risultato immediato, azioni altrettanto bieche e sanguinose a danno di comunità cattoliche e cristiane, in quei Paesi nei quali si sono verificati in un passato recente assalti a chiese (Nigeria e Pakistan fra i tanti teatri possibili). Ma l'aspetto forse ancora più pericoloso è che possa fungere da collante per i reduci della guerra jihadista in Siria e Nord Iraq e per i foreign fighters che stanno rientrando da quegli scenari, rilanciando in maniera davvero consistente e per ISIS probabilmente insperata, sia il reclutamento di nuovi “soldati” che le capacità di Daesh di fare proselitismo.
Tra l'altro questo è il primo attacco pensato per diventare virale...
Sono certo che tanto i terroristi di Daesh, quanto gli assalitori motivati dal razzismo, così come anche gli active shooters nordamericani, sapranno trarre insegnamento dalla attenzione agli aspetti di comunicazione mostrati dall’attentatore neozelandese. In termini di comunicazione ha davvero ottenuto il massimo risultato possibile diffondendo immagini in diretta: aspetto questo che segna un punto di non ritorno. Attrarrà, temo, moltissimi fra coloro i quali sanno che la cosa più importante è ottenere visibilità per terrorizzare chi guarda le immagini lontano dalla scena del crimine, creando un effetto di ridondanza a mpatto globale.
Chi è il terrorista australiano? Ha dimostrato di avere una formazione paramilitare?
Osservando il video, a mio modesto parere, non mostra un tipo di addestramento all’uso di armi da assalto particolarmente elevato. La manualità e il modo nel quale fa fuoco su vittime inermi, così come il numero di colpi con i quali le attinge, non credo che possano qualificarlo come un infallibile guerriero o un soggetto particolarmente esperto in tecniche di tiro o di combattimento in ambienti chiusi e in spazi ristretti. Di certo il rapporto fra il numero di colpi e quello delle vittime uccise o ferite, parrebbe più alto di quello, mi si passi il termine, ottenuto in drammatiche occasioni analoghe da terroristi jihadisti, ma non riterrei corretto, alla luce di quanto sin qui visto, parlare di soggetti addestrati. L’emulazione e la simbologia in situazioni di questo genere, evidenziata anche dalle scritte dei nomi di altri terroristi apposte da uno degli attaccanti sulle armi utilizzate, lega con una sorta di filo rosso tanto questi assassini quanto quelli che in questi ultimi dieci o quindici anni si sono resi protagonisti di azioni analoghe ed anche nel caso degli “active shooters” americani, la tendenza è quella di riproporre tattica e modalità già viste in precedenza.
Perché il killer australiano non si è tolto la vita?
Chi attacca in circostanze come quelle alle quali abbiamo appena assistito, sa bene che per un dato lasso di tempo, in genere fra i sette e gli otto minuti a seconda della città, del luogo e dell’orario, non sarà contrastato da nessuno e potrà agire con la massima calma, selezionando i bersagli e prendendosi il tempo che vuole. Sarebbe anche interessante capire se l’aggressore avesse intenzioni suicide, intenzioni che forse potrebbe non aver portato a termine oppure se desiderava ingaggiare successivamente un conflitto a fuoco con le forze di polizia neozelandesi, così come se aveva previsto una azione di copertura da parte di suoi complici che avrebbero potuto agire contro le forze di sicurezza, mentre lui andava avanti con la sua azione all’interno della o delle moschee.
Torniamo al punto di partenza: cosa dobbiamo aspettarci?
Circa due anni fa il direttore dei servizi di intelligence francesi aveva in una occasione pubblica ed ufficiale messo in guardia dalla possibilità che in pochissimo tempo si sarebbero potuti registrare episodi di “azione reattiva” da parte di movimenti e o partiti xenofobi e razzisti. In conclusione riterrei che se di qualcosa aveva bisogno il terrorismo di ispirazione islamica che si rifà al Califfo al Baghdadi ed a Isis-Daesh era proprio di una azione simile, capace in termini di attrattività verso i media di catalizzare l’opinione pubblica e di creare tanto il consenso orientato alla vendetta islamica quanto di produrre una nuova messe di reclutamenti di giovani islamisti tra le fila dei potenziali combattenti per il Califfato globale.