Il Gigante d’Africa, la Nigeria, il 16 febbraio va alle urne per scegliere il nuovo presidente. Il voto arriva in un momento molto delicato per il paese africano, nel quale le divisioni etniche e storiche si sono acuite, dove la corruzione continua ad essere uno dei più gravi problemi, dove l’economia è legata a filo doppio all’estrazione del petrolio e dove il terrorismo islamico di Boko Haram è tutt’altro che sconfitto. Elementi, questi, che facevano parte del programma elettorale del presidente uscente Muhammadu Buhari che si ricandida per un secondo mandato. Ma sono fatti che raccontano un’altra Nigeria, non certo quella narrata da Buhari.
E i grandi della Terra stanno a guardare
Intorno a queste elezioni si sta muovendo mezzo mondo. L’interesse va da Washington a Pechino. E in mezzo ci sono i nigeriani chiamati alle urne per la sesta volta da quando nel 1999 la Nigeria è tornata ad essere una repubblica democratica. Le incognite, tuttavia, sono numerose. Quelle economiche innanzitutto. Nel 2018 il Pil è cresciuto dell’1,9% eppure l’indice di sviluppo umano è uno tra i più bassi al mondo, 0,514, che pone il paese al 152esimo posto. Con un Pil pro capite che è passato negli ultimi cinque anni dai 3200 dollari del 2014 agli attuali 1900.
Quanto pesa il costo del barile
Le promesse di Buhari, infatti, sono state disattese. L’economia non ha trovato vie di diversificazione significative per affrancarla dal petrolio che rappresenta la prima componente del Pil. La Nigeria è il sesto Paese al mondo per esportazione di greggio e la peggiore crisi economica che ha vissuto è coincisa con il crollo del prezzo del barile. “Con i tassi di disoccupazione che sono raddoppiati”, come scrive Affarinternazionali.it, dall’insediamento di Buhari, “l’aumento dell’inflazione e un deciso innalzamento del debito pubblico, le numerose riforme del settore agricolo dell’attuale presidente costituiscono l’unica politica economica di cui il paese ha realmente beneficiato durante il suo mandato”.
Corruzione e terrorismo
Rimane, nonostante una maggiore trasparenza a livello governativo, il cancro della corruzione. La Nigeria è uno dei paesi con il più alto tasso di corruzione e non si sono registrati significativi miglioramenti. Sul fronte della sicurezza le cose non vanno meglio. Buhari nel 2015 ha solennemente promesso la sconfitta di Boko Haram. Il gruppo islamista, oltre ad essere vivo e vegeto, negli ultimi mesi ha moltiplicato gli attacchi in un’escalation senza precedenti. Dal 2009 Boko Haram ha provocato la morte di 27mila persone e ha provocato una grave crisi umanitaria con oltre 1,8 milioni di sfollati.
Crisi istituzionale
Buhari si presenta all’elettorato con questo fardello di sconfitte. La sua rielezione a molti osservatori pare complicata: dipenderà dal fatto se sarà stato convincente o meno nelle giustificazioni che avrà saputo o non saputo dare ai nigeriani per i suoi fallimenti. Ma sull’esito del voto pesa anche la decisione del presidente uscente di sospendere il giudice Walter Nkanu Samuel Onnoghen, presidente della Corte Suprema della Nigeria. Il giudice non avrebbe dichiarato alcuni conti bancari in valuta estera, da qui la decisione di Buhari. Una sospensione, tuttavia, che è arrivata a ridosso delle elezioni, e sono in molti a pensare che le motivazioni siano da ricercare in ragioni puramente elettorali: la Corte Suprema è l’organismo che dovrà convalidare i risultati annunciati dalla Commissione Elettorale. Il Tribunale del Codice di Condotta, inoltre, ne ha ordinato l’arresto e alla vigilia del voto Onnoghen dovrà comparire in tribunale per rispondere degli addebiti che gli vengono contestati.
Settanta candidati, un solo oppositore
Il più accreditato tra gli avversari di Buhari – saranno 73 i candidati presidente – è l’uomo d’affari Atiku Abubakar, ma è anche l’uomo accusato proprio da Buhari di essere coinvolto in attività internazionali di riciclaggio di denaro. Nel programma elettorale di Abubakar c’è la creazione di 3 milioni di posti di lavoro e la promessa di far uscire dalla povertà 50 milioni di nigeriani, ma è anche colui che sta ricevendo i favori dei vertici militari, fatto di non poco conto visto il ruolo che questi giocano negli equilibri del paese sia dal punto di vista economico sia politico.
Elezioni, dunque, molto incerte che avvengono in un paese diviso tra nord, 19 stati, contro un sud, 17 stati, industrializzato. I giacimenti petroliferi sono proprio al sud e il nord, da sempre, rivendica una maggiore redistribuzione della ricchezza. A ciò si aggiunge la divisione, oltre che etnica, anche religiosa: il nord è a maggioranza musulmana e il sud cristiana. Del resto ogni elezione presidenziale ha presentato le stesse problematiche. Unica novità, se di questo si può parlare, è che i due maggiori accreditati alla vittoria appartengono alla stessa etnia, i fulani. I due, inoltre, hanno firmato un secondo “patto per la pace”. E tutti si augurano che questa regni sovrana durante il voto.
La pressione demografica
La comunità internazionale guarda con apprensione e anche con speranza all’esito delle elezioni presidenziali. Un voto trasparente, privo di brogli e di tensioni, può essere un passo credibile verso una democrazia stabile che possa consentire al presidente eletto di affrontare i temi economici che assillano i 190 milioni di nigeriani. La Nigeria sta crescendo a ritmi vertiginosi da punto di vista demografico, tanto da essere la settima popolazione al mondo per abitanti e la terza per popolazione giovane. Negli ultimi vent’anni è aumentata del 60%. Il presidente eletto dovrà guardare molto lontano perché si stima che nel 2050 la Nigeria avrà una popolazione di 429 milioni di persone, di cui 152 sotto la soglia di povertà. Questi numeri fanno capire, anche, il livello di attenzione riservata a queste elezioni da parte della comunità internazionale.