Il trailer è stato trasmesso sui megaschermi di Piccadilly Circus a Londra, mentre il mondo dei videogames lo aspettava con trepidazione. Parliamo di Red Dead Redemption 2, secondo capitolo della saga ambientata nel west. Ormai i videogame vanno ben oltre la loro essenza ludica per essere considerate a tutti gli effetti delle opere d’arte. La grafica eccezionalmente realistica, la sceneggiatura, le musiche… Tutto è assolutamente perfetto. Una perfezione che chiaramente ha un costo.
Settimane fa, in tempi di sponsorizzazione del gioco, ha fatto notevole scalpore nell’ambiente la dichiarazione rilasciata da uno dei fondatori della casa produttrice Rockstar, Dan Houser, secondo il quale i lavori su Red Dead Redemption 2 hanno richiesto anche “settimane lavorative da 100 ore” per essere completati. Una battuta lanciata forse lì per lì senza pensarci, ma che ha scatenato nelle ore e nei giorni successivi un vero putiferio sui social. Tanti programmatori sono venuti allo scoperto denunciando gli orari impossibili ai quali sono costretti a sottoporsi per portare a termine il loro progetto. D’altra parte, come scrive spaziogames.it sulla vicenda “Se considerassimo solo i normali cinque giorni lavorativi, si parlerebbe insomma di lavorare per 20 ore su 24 al giorno – se invece fossero inclusi i weekend parleremmo di circa 14 ore di lavoro al giorno”. Davvero un bel po'.
Il problema in gergo viene chiamato “crunch” ed ha visto intervenire varie autorità del mondo dei video games, dalla ex Telltale Emily Grace Buck, che twitta “Se sei uno sviluppatore senior o un lead in un team il cui lavoro blocca altri dipartimenti, hai l’obbligo di assicurarti che i membri della tua squadra non solo non vadano in crunch, ma anche di promuovere pratiche di lavoro salutari, in modo che non si sentano pressati a lavorare di più senza che siano pagati per farlo” a Tanya X. Short, alla guida di Kit Fox Games, che scrive “Non c’è da discutere sul definire quando e come e dove una settimana lavorativa di cento ore sia accettabile o no. Qua c’è da discutere su quanto valore si dia alla salute di qualcuno, alla sua felicità e alla sua stabilità, e quanto questo valga per i loro datori di lavoro”.
Anche Andrew Weldon, uno degli sviluppatori di Bungie ha rivelato che “Nella mia carriera, ho… lavorato per 36 ore consecutive in un weekend, nel bel mezzo di settimane lavorative da 7 giorni e da oltre 80 ore, per diversi mesi di fila. I miei cicli di sonno non si sono ripresi per 5 anni. Uno dei nostri compagni, che si è spinto anche oltre, ha dovuto lasciare ed è stato in cura per sei mesi”. Un fenomeno abbastanza prevedibile ma al quale raramente si è prestata la giusta attenzione. C’è chi dice che il problema più che altro sorga col tempo perché spesso quando si viene assunti si è giovani e con tanta volontà, poi ci si rende conto che i turni massacranti tolgono tempo alla vita che nel frattempo ci si è costruiti.
Il chiarimento dell'azienda
Ovviamente la Rockstar non ha più potuto tacere ed ha deciso di scrivere una nota proprio a firma di Dan Houser: “Sembra che si sia originata della confusione in seguito alla mia intervista. Il punto a cui mi riferivo nell’articolo era riferito al modo in cui sono stati realizzati i dialoghi e il comparto narrativo del gioco, che è stato il tema portante dell’intervista.
Non si parlava dei diversi processi nel team completo in sé. Dopo aver lavorato sul gioco per sette anni, il team senior di scrittori, che consta di quattro persone (Mike Unsworth, Rupert Humphries, Lazlow e io) ha avuto, come sempre accade, tre settimane di intenso lavoro in cui abbiamo dovuto mettere insieme tutto. Tre settimane, non anni. Abbiamo tutti lavorato assieme per almeno dodici anni e abbiamo sentito che c’era il bisogno di fare questo per finire tutto. Dopo tutti questi anni in cui abbiamo realizzato e organizzato le cose per questo progetto, sentivamo la necessità di farlo per finalizzare il tutto.
La cosa più importante, è che non ci aspettavamo che nessun altro lo facesse. In tutta la compagnia, abbiamo molti sviluppatori senior che lavorano duramente perché provano passione per il progetto, per il loro lavoro in particolare, e crediamo e che questo si veda nei giochi che pubblichiamo. Ma quello sforzo aggiuntivo è una libera scelta, non chiediamo a nessuno di lavorare a questo ritmo. Molti senior lavorano in modo totalmente diverso e sono comunque così produttivi, solo che io non sono tra loro! Nessuno, né senior né junior, è mai forzato a lavorare troppo. Credo che abbiamo fatto grandi passi per essere un business che si cura delle persone, per fare in modo che questa sia una grande compagnia per cui lavorare”.
Effettivamente la compagnia ha parallelamente invitato i suoi dipendenti a farsi sentire sui social riguardo l’argomento in totale libertà e moltissimi hanno confermato di non essere mai stati costretti a fare straordinari e che quando è accaduto sono stati sempre straordinari regolarmente pagati, in più spesso accadeva solo per esigenze di un lavoro svolto con estrema passione. Il problema persiste, è evidente, è qualcosa che vive sotto pelle, anche perché tra ciò che è lecito o no, in questo campo, la linea è evidentemente molto sottile.