Tra due settimane si avrà il primo vero giudizio popolare sulla presidenza di Donald Trump. Il 6 novembre si terranno le elezioni di metà mandato: in palio il rinnovo di buona parte di Camera dei Rappresentanti e Senato degli Stati Uniti, ma l’appuntamento viene considerato un 'referendum' per il presidente. Soprattutto, sarà la prima occasione di riscatto per i democratici, che puntano a riprendere il controllo di almeno una delle due Camere, attualmente in mano ai repubblicani.
Il giorno in cui tramontò la stella di Hillary Clinton
Da rinnovare, oltre ai 435 seggi della Camera dei Rappresentanti e ad un terzo dei seggi del Senato, una trentina di governatori e centinaia di incarichi pubblici, a livello statale e locale. È dal 2016 che i democratici aspettano questo giorno, da quando cioè tramontò la stella di Hillary Clinton e loro, insieme alla Casa Bianca, persero il controllo di entrambe le Camere.
Buone possibilità per l’Asinello
Negli ultimi mesi, laddove ci sono state primarie, i repubblicani che hanno vinto di più sono stati quelli vicini o appoggiati dal presidente Donald Trump; mentre tra i Democratici si sono visti molti volti nuovi, soprattutto donne. Secondo i calcoli del The New York Times, i Democratici hanno un 75% di possibilità di prendere il controllo della Camera dei Rappresentanti, ma devono sottrarre al campo 'rosso' almeno 34 seggi. Al Senato la situazione è più complicata, perché i Democratici devono difendere più seggi dei Repubblicani, e in Stati in gran parte conservatori.
Florida, Arizona, Texas, Indiana, Missouri e Montana sono alcuni degli Stati dove i sondaggi danno la situazione molto in bilico, ma secondo il quotidiano, è provabile, al 78%, che i repubblicani mantengano il controllo del Senato.
Donne e giovani per fare la differenza
Un aspetto chiave sarà la mobilitazione di donne e giovani, due gruppi particolarmente impegnati in queste elezioni. La tensione è palpabile, anche in vista delle elezioni presidenziali del 2020. Il senso lo coglie il senatore democratico, Cory Booker che in queste ore si è rivolti a una folla di un migliaio di persone da un palco in Iowa.
Sistematicamente attaccato dal presidente Trump, il senatore, considerato uno dei possibili candidati di punta nel partito Democratico, ha detto che bisogna avere un atteggiamento di resilienza e ha ripetuto il suo mantra, "Stay faithful", 'siate fiduciosi". Del resto, ha ripetuto, lo diceva anche Martin Luther King: "L'arco morale dell'universo è lungo e punta verso la giustizia".
Un’eredità da sbriciolare
Limitare tutto ad una riscossa democratica potrebbe essere limitativo. Partite decisive come il futuro dell'inchiesta Russiagate, il destino di Obamacare, persino il possibile impeachment del presidente sono le questioni che, in un modo o nell’altro, saranno fortemente influenzate (se non decise) dal voto del 6 novembre.
I democratici potrebbero sbriciolare l’eredità che mira a lasciare Trump negli anni a venire, soprattutto se conquistassero anche il Senato: è in questa aula che si disputano partite decisive come quelle relative alla conferma dei giudici nominati alla Corte Suprema, ma anche dei membri del gabinetto. Diventerebbe inoltre reale l’ipotesi di una procedura di impeachment ovvero di una messa in stato di accusa del presidente, dal momento che essa richiederebbe una maggioranza di due terzi.
Se invece vince il Grand Old Party
Se il 6 novembre dovessero invece risultare vincitori i repubblicani in entrambi i rami del Congresso, il Gop avrebbe in mano la possibilità di ridisegnare la legislazione americana del prossimo decennio e andrebbe avanti sicuramente più deciso, rispetto a quanto fatto nei primi due anni, nell’approvazione dell’agenda politica. Uno dei primi temi a tornare al centro dell'agenda politica potrebbe essere ad esempio la sanità e l’abolizione dell’Obamacare, per riuscire dove i repubblicani avevano fallito l’anno scorso. Non solo: il cammino di Donald Trump verso la rielezione nel 2020 sarebbe sicuramente in discesa.
Entrambi i partiti si dicono ottimisti. I conservatori sanno infatti che generalmente l’elettorato che si mobilita per le elezioni di metà mandato è solitamente più bianco, anziano e conservatore di quello che corre alle urne per le presidenziali; possono contare poi su una economia in crescita e un basso livello di disoccupazione.
I precedenti non consolano i repubblicani
Da parte loro invece i democratici, oltre ai dati positivi dei sondaggi, sanno che tradizionalmente il partito del presidente perde le elezioni di metà mandato con una media di 30 seggi; e puntano molto sul movimento di resistenza anti-Trump capitanato tra l'altro dalle donne (mai così tante come quest’anno): dato importante se si pensa che il 63% delle americane preferisce i candidati progressisti, contro un terzo delle elettrici che si schierano per i conservatori. In generale, secondo Cnn, l’entusiasmo dei progressisti sarebbe assimilabile a quello che portò nel 2009 all’elezione di Barack Obama.