Se non ci fosse stato il comunismo Giunone non avrebbe mai raggiunto il suo Giove, Venere non avrebbe mai ricevuto la visita di Magellano e la famiglia Sasin dell’Arkansas ora non saprebbe come pesare i suoi polli. Di sicuro se non ci fosse stato lo Sputnik di Nikita Krusciov nessun uomo sarebbe mai arrivato sulla Luna: i sovietici perché mai in grado di far meglio della missione di Gagarin, gli americani perché gli sarebbe mancato il gusto della sfida, cioè quella potente molla che fa muovere le civiltà e spinge gli uomini alle grandi intuizioni. Come quella di fondare un ente – pubblico – con l’incarico di portare l’Umanità là dove aveva sempre sognato, pur sapendo che i bei sogni non si avverano mai.
Fu così che nacque la Nasa, voluta dal presidente Dwight 'Ike' Eisenhower e divenuta operativa il 1 ottobre del 1958. Esattamente sessant’anni fa.
Un messaggio per Ike Eisenhower
Tutto, per l’appunto, ebbe inizio con il comunismo sovietico ed una palla di metallo irta di antennine che fece un paio di giri attorno alla Terra, salutandola con un esile segnale sonoro. Beep, beep, e a Washington fecero un balzo sulla sedia: vuoi vedere che, dopo aver raggiunto la parità atomica, i comunisti ora ci attaccheranno dallo Spazio?
Già lo avevano fatto usando una cucina componibile: Krusciov era venuto da poco in visita in America, a tirare poderosi colpi con il tacco della scarpa sullo scranno delle Nazioni Unite e a fronteggiare un giovane quanto aggressivo Richard Nixon in un dibattito sulla prevalenza o meno del socialismo reale rispetto al capitalismo. Di fronte, per l’appunto, ad una cucina componibile esposta in una fiera campionaria. “Vi seppelliremo”, aveva detto. E con lo Sputnik sembrò che stesse dando seguito alla minaccia.
La promessa di Kennedy
Il vecchio Ike di guerra se ne intendeva, avendo guidato le truppe alleate in Europa tra il ’43 e il ’45, e sapeva che in certi frangenti è meglio contrattaccare. Al nuovo ente iniziarono a giungere emolumenti e regalie, che in America si chiamano investimenti mirati. La National Aeronautics and Space Administration nacque tra l’entusiasmo generale, florida e in carne come un bimbetto tirato su a latte e uova. Ma non bastò. Mentre la Nasa ancora lanciava vagiti, i russi inviavano già il loro primo uomo nello spazio.
Era il 1961, anno che vide anche quell’altra umiliazione dell’Occidente che fu la costruzione del Muro di Berlino. John Kennedy, succeduto da poco ad Eisenhower, dovette subire entrambi gli affronti ma promise pubblicamente che il primo uomo sulla Luna sarebbe stato americano. Dette anche l'orario dello sbarco: la fine del decennio, giorno più giorno meno.
Lungo i sentieri di Fenimore Cooper
Non si accontentò di lanciare la sfida, Kennedy, ma tenne il punto riversando nelle casse dell'ente pubblico soldi su soldi. In capo a cinque anni la Nasa aveva accesso ad una cifra che sfiorava l'1 percento del prodotto interno lordo americano. "Una nuova battaglia per la libertà", spiegavano tutti gli uomini del Presidente.
In realtà era persino qualcosa di più: nel Progetto Apollo, insomma, si fondeva quanto di più americano ci possa essere, dal culto dell'eroe a quello degli spazi infiniti e della Frontiera da conquistare, come in un romanzo di James Fenimore Cooper.
La Terra vista al rovescio
Ad ogni modo, quando Neil Armstrong poggiò timidamente il primo piede umano sulla Luna (in Italia erano le 4,57 del 21 luglio 1969: Kennedy ci aveva visto giusto) l'America tirò un sospiro di sollievo e si sentì di nuovo grande. Ne aveva bisogno, perché nel frattempo erano iniziati gli anni del Vietnam.
La Nasa divenne quindi il simbolo della controcultura rispetto alla controcultura hippy, il simbolo di quella Maggioranza Silenziosa che lavorava invece di protestare e che aveva portato alla Casa Bianca, mesi prima, Richard Nixon. Di quelle missioni, oltre all'impronta di Armstrong sulla superficie lunare, un'altra immagine rimase impressa nella mente degli esseri umani. Si tratta della foto della Terra vista dallo spazio, e la cosa non è rimasta senza conseguenze, alcuni decenni dopo.
Comunque, se a quel punto la Nasa avesse detto "missione compiuta" ed avesse chiuso i battenti, oggi potrebbe essere ricordata come l'ennesima storia americana di successo. Il guaio è che ha continuato ad operare.
Troppo perfetto, la gente si annoia
Non è tanto per colpa della faccenda dell'Apollo 13, che pure seguì di poco il trionfo di Armstrong con il mondo a tenere il fiato sospeso di fronte al rischio di vedere i primi esseri umani della Storia perdersi nello Spazio, da Argonauti mancati.
Semmai a far del male alla Nasa fu il senso di stanchezza che prese al ripetersi dell'impresa, quando cioè si organizzava quasi un allunaggio all'anno, e sul Mare della Tranquillità gli astronauti scorrazzavano a bordo della prima automobile spaziale.
Era tutto troppo scontato, la gente si annoiava. E faceva anche i conti in tasca agli scienziati di Houston, visto che nel frattempo era arrivata l'inflazione, il primo shock petrolifero metteva in ginocchio le economie occidentali e infine il Vietnam veniva dichiarato partita persa. Anche in Italia un Enzo Jannaci si rivolgeva al suo amico Mario cantando: "Ma tu guarda i miliardi che spendono per togliere i sassi alla Luna". Anni prima fantasticava pure lui: “La Luna è una lampadina …”.
Gli anni dell’eclissi
Abbandonate le missioni lunari, la Nasa si rivolse al progetto Shuttle, la Navetta che faceva avanti e dietro con la stratosfera promettendo di riuscire a sfruttare le rotte spaziali anche a scopo commerciale, magari anche costruendo una stazione orbitante. Il tasso di poesia andava abbassandosi.
Il bilancio del progetto Shuttle, a distanza di decenni, non è di quelli che incoraggiano: 100 miliardi di dollari spesi, una stazione orbitante costruita ma solo in consorzio con altri quattro paesi, una fila di astronauti che giacciono ad Arlington, il cimitero degli eroi, dopo aver perso la vita nello spazio.
Le profferte di Google
Dieci anni fa i vertici di Google ebbero un’idea ed esortarono la Nasa ad impegnarsi nella creazione di "sistemi aperti" per sostenere le realizzazioni tecnologiche altrui (cioè: di Google). In altre parole si intendeva sviluppare quello che già allora era Google Earth in Google Mars e Google Moon.
Questa però era solo la premessa, perché l'insaziabile motore di ricerca stava rimuginando l'autonoma raccolta di dati in un progetto per riportare l’uomo sulla Luna. Con tanto di gita in Rover tra le buche del Mare della Tranquillità e premio di 30 milioni di dollari. Ma non poteva essere questa la fine di una Agenzia gloriosa come la Nasa. Che infatti, da allora, si è rifatta un’autorevolezza con i successi delle sue sonde e delle sue missioni spaziali automatiche, che portano l’eco dell’esistenza degli uomini e della loro scienza tra le pietrose colline di Marte o tra i gas di Giove tonante, a bordo di una navicella chiamata Giunone.
Quanto a Venere e Magellano, anche questa è una storia di stelle, navicelle e pianeti, dove la Dea dell’amore non può che fidarsi delle promesse di un marinaio.
Il cavallo di Alessandro Magno
Manca solo da capire cosa c’entrino, con tutto ciò, le galline della famiglia Sasin dell’Arkansas. Mistero presto risolto: i Sasin, come centinaia di migliaia di agricoltori del Midwest, producono polli in batteria. E tutti hanno il problema di monitorarli costantemente, ad iniziare dal peso, per tenerne d’occhio lo stato di salute. Cosa impossibile da fare manualmente.
Così una start up che si chiama Thrive Multi Visual ha messo a punto un robot che è in grado di fare tutto, partendo da un’analisi visuale del pennuto. Che, stando in gabbia, è facile da riprendere e monitorare.
La tecnologia la fornisce la Nasa, o meglio un suo modello di rover utilizzato nelle missioni su Marte. Come se il cavallo di Alessandro Magno fosse finito a far girare le pale di un mulino in Macedonia.
Ecco a cosa servivano i miliardi tirati fuori per togliere i sassi alla Luna. La corsa allo Spazio, del resto, iniziò proprio davanti ad una cucina componibile.