“Le acque sembravano sibilare e scoppiettare con bolle grandi come pompelmi che si sollevavano dalla superficie e riportavano a galla il fango depositato sul fondo”. Questo è il racconto del giornalista del Washington Post, Chris Mooney, nei luoghi dove opera da diversi anni l’ecologista Katey Walter Anthony. Parole che hanno provato a descrivere quello che sta succedendo all’Esieh Lake e ad altri 300 specchi d’acqua dell’Artico. Laghi che contengono, e stanno liberando, grandi quantità di gas, soprattutto metano, nell’atmosfera terrestre contribuendo a contaminarne l’aria. Laghi che possono essere facilmente individuabili perché, a differenza di quanto accadeva in passato, “non si congelano più”.
Across the Arctic, lakes are leaking dangerous greenhouse gases. And one lake is behaving very strangely https://t.co/twf8Y8Wh4R pic.twitter.com/oF3NU3LRxg
— Chris Mooney (@chriscmooney) 24 settembre 2018
Un ciclo di feedback inarrestabile
Il primo impatto con questo tipo di spettacolo fu vissuto da Anthony nel 2010. E fu talmente impressionante che la scienziata confessò di aver temuto che il lago potesse addirittura esplodere. A quel tempo, oltre a subire il fascino della tundra e delle sue distese silenziose, era alla ricerca di nuove fonti di metano, una forma d’energia e carburante in grado di aiutare le popolazioni più isolate dell’Alaska. Rimase però colpita da un fenomeno che intuì potesse essere direttamente collegato con l’aumento delle temperature globali. Un processo, per essere più precisi, che stava e sta contribuendo a sciogliere il permafrost presente sulla superficie di queste distese d’acqua dando vita a un circolo vizioso difficile da arrestare. (Piccola digressione: con permafrost si va a indicare un terreno che rimane ghiacciato per moltissimo tempo, almeno due anni, tipico delle zone più fredde del pianeta).
Il Washington Post è arrivato persino ad azzardare una stima del metano rilasciato dall’Esieh Lake: due tonnellate al giorno, quanto quello emesso da 6 mila mucche da latte. Un circolo, dicevamo, che funziona così: l’aumento delle temperature causa lo scioglimento del permafrost che a sua volta libera metano e anidride carbonica contribuendo all’innalzamento ulteriore delle temperature. Quello che generalmente viene identificato dagli scienziati come ciclo di feedback o retroazione. Si parte per tornare al punto d’inizio.
Gas millenari e scenari futuri
Ma non è finita qui. Quello che il team guidato da Anthony ha scoperto, raccogliendo campioni di gas presenti nel lago, è molto più preoccupante. Il metano non proviene solamente dal permafrost della superficie ma risale a periodi molto più antichi. Apparterrebbe, infatti, a una riserva di combustibili fossili che sono rimasti sepolti per millenni e che ora sarebbero pericolosamente esposti all’atmosfera. Secondo la studiosa americana questi combustibili sono stati liberati dopo lo scongelamento del permafrost che li aveva sigillati. Le domande che ora gli scienziati si fanno sono diverse: quanto sarà veloce il disgelo del permafrost? Farà peggiorare una situazione climatica già problematica?
Le zone in cui sono presenti le bolle sono anche quelle dove si registra un profondo dislivello del fondale. Si passa da 4 a 15 metri. Un’erosione che sta modificando in maniera netta le caratteristiche del lago e i suoi millenari sedimenti. Gli studi di Anthony suggeriscono che i laghi artici potrebbero avere un ruolo nell’aumento dei livelli di metano nell’atmosfera. Secondo il Washington Post, se le scoperte della studiosa dovessero rivelarsi corrette, l’impatto totale dello scongelamento del permafrost sarebbe paragonabile alle emissioni fossili prodotte, moltiplicato per due, dalla Germania. Non si può ancora parlare di “catastrofe” ma su questi laghi è necessario volgere molta, moltissima, attenzione.