Adesso alla Casa Bianca tutti si indicano il petto e sussurrano, con la voce stupita e suadente di un Giuda all’Ultima Cena: “Sono forse io, Signore?”. Il Signore, però, è perplesso. Non ha ancora capito chi sia il suo sommo traditore, e tantomeno è pronto ad invitarlo ad andare per fare quello che ha da fare. No davvero, Donald Trump non perdona e non si rassegna ad un destino che altri avrebbero scritto al suo posto. A Pennsylvania Avenue, se non è caccia alle streghe, poco ci manca.
Ora Gola Profonda fa l’opinionista sul New York Times
I bassifondi dell’informazione una volta erano avvolti nel buio dei garage di Washington: così Carl Bernstein e Bob Woodward tenevano i loro contatti con la talpa che li aggiornava sul Watergate. Una fonte attendibile, il cui nome è stato rivelato solo decenni più tardi. Tanto che i due giovani reporter, all’epoca senz’altro più sensibili agli alti e basso degli ormoni, l’avevano chiamato in codice Gola Profonda, dal titolo di un film a luci rosse che, starring Linda Lovelace, all’epoca andava per la maggiore.
Oggi i due, Bernstein e Woodward, hanno ciascuno i suoi scontri con Trump, che a Richard M. Nixon è stato accostato fin dal primo giorno del suo mandato a causa del Russiagate. Proprio il caso dei rapporti con il Cremlino ha messo Bernstein in rotta con la Casa Bianca e Trump ha cercato di chiudere la faccenda definendolo un “inetto raccontaballe”. Quanto a Woodward, ha fatto sapere nei giorni scorsi dell’imminente uscita del suo ultimo libro. Sulla Casa Bianca di Trump. Titolo e data di uscita sono quantomai indicativi: l’11 Settembre gli americani troveranno su ogni scaffale delle librerie del Paese “Fear”. Il genere non è horror, ma la suggestione è forte.
Uscite le prime anticipazioni del libro, alla Casa Bianca pare essersi aperto un vaso di Pandora, e una Gola Profonda ha pensato bene di scrivere come davvero vanno le cose nello Studio Ovale e dintorni. E lo ha fatto, in forma anonima, non con un’intervista o all’interno di un pezzo di cronaca, ma addirittura nella pagina degli editoriali e delle opinioni, formandosi “un membro di spicco dello staff della presidenza”.
Nell’articolo c’è scritto di tutto, e tutto è sintetizzabile con una parola: caos. La firma, poi, e la collocazione in pagina sembrano fatte apposta per autorizzare a credere che si tratti di qualcuno molto, ma molto importante. Ed il primo a puntare l’indice contro il proprio petto, con la voce suadente, è stato Mike Pence, il vicepresidente.
Omarosa fa tremare il castello di carte
Se la Casa Bianca è un castello di carte, come ci ricorda un serial televisivo, come in ogni buon serial prima o poi viene il momento della femme fatale. E Omarosa Manigault, al di là di un nome esotico e di un look prorompente, fatale ha rischiato di esserlo davvero. Pare abbia iniziato a bazzicare la prima fila della politica americana hai tempi di Bill Clinton. Poi incontra Trump, complice il set di un reality televisivo che in Italia è stato guidato da Flavio Briatore. Presa alla Casa Bianca.
Le cose cominciano ad andarle storte quando Trump nomina capo dello staff della Casa Bianca l’ex comandante del corpo dei Marine John Kelly. Nuove regole vengono imposte, per far fronte a quella che è già una costante fuga di notizie dalla West Wing. Anche a Omarosa vengono ristretti gli incontri diretti con Trump.
I rapporti si fanno tesi, lei pare abbia tentato di entrare di nascosto nella residenza privata del presidente e Kelly è costretto così a licenziarla. A dire il vero sull’episodio del licenziamento le voci che girano sono diverse, c’è chi racconta di un saluto cordiale e chi di una Omarosa scortata di forza fuori dalla Casa Bianca.
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Un libro e tanti nastri
I servizi segreti americani pare non abbiano mai confermato ma nemmeno smentito questa seconda ipotesi. Lei invece racconta di malcelate minacce. Come in ogni ficton politica all’americana che si rispetti arriva immancabile il momento del libro, dopo pochi mesi la casa editrice Gallery Books annuncia l’uscita di “Unhinged: An Insider's Account of the White House” il libro-verità di Omarosa, con queste parole: “Omarosa è finalmente pronta a condividere la sua versione dei fatti della storia in questo libro esplosivo e sbalorditivo”.
Nei giorni precedenti all’uscita mette in circolazione nastri con registrazioni di conversazioni private con il presidente, rilascia interviste, ovviamente, e le affermazioni creano sempre molto imbarazzo all’amministrazione, come quella dove afferma di aver sentito più volte Trump lasciarsi andare a toni razzisti nei confronti di un concorrente afroamericano di “The Apprentice”.
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Trump la chiama cagna
Da Twitter le risponde direttamente Trump definendola una malvivente stramba e squilibrata e, soprattutto una cagna. Dalla Casa Bianca arriva anche un procedimento contro di lei, colpevole di aver violato un accordo di non divulgazione rispetto al suo ruolo nella campagna presidenziale e nello staff. Omarosa allora si rivolge alla Associated Press dicendo che lei non accetterà di essere messa a tacere da Trump e che non resterà inerme vittima di quello che definisce “bullismo”.
La vendetta della bullizzata
Puntualmente lei torna all’attacco del presidente divulgando un video che mostra Michael Cohen, ex avvocato personale di Trump, mentre si imbarca sull’aereo privato di Trump nel settembre del 2016, in piena campagna elettorale.
La registrazione arriva a ridosso della dichiarazione di colpevolezza da parte di Cohen per i reati di frode bancaria e violazione delle leggi sul finanziamento della campagna elettorale “sotto la direzione di un candidato ad un ufficio federale”, in chiaro riferimento a Donald Trump. In questo ultimo caso si tratta del pagamento di 130mila dollari corrisposto alla pornostar Stormy Daniels al fine di impedirle di divulgare i dettagli della sua presunta relazione con Trump avvenuta anni prima.
Mai nessuno, nemmeno Nixon, era stato vittima di così tante rivelazioni. Fatale può essere una donna, ma soprattutto la stampa è un sostantivo di genere femminile.