Il capo del Cremlino, Vladimir Putin, risponde al monito del presidente americano, Donald Trump, con i caccia. Dopo che nella notte scorsa Trump aveva messo in guardia da un attacco su Idlib, aerei da guerra russi hanno iniziato a bombardare alcuni quartieri della città nel nord ovest della Siria che la Russia è decisa a strappare ai ribelli e riportare sotto il controllo del presidente siriano, Bashar El Assad.
I raid aerei al momento hanno colpito le aree di Jisr al Shugur, Ghani, Innab, Sirmaniyah e Basanqul. I jet russi decollati dalla base aerea di Hmeimim hanno sferrato 20 attacchi, colpendo anche Zayzun, città a nord di Hama. Sono state segnalate diverse vittime tra i civili. Sempre nell'area di Hama, le batterie contraeree dell'esercito siriano hanno sostenuto di aver "intercettato diversi missili lanciati da jet israeliani". In precedenza erano state segnalate diverse esplosioni nell'area. Qualche ora prima i tank turchi avevano ingrossato il contingente al confine di Ankara, rafforzando i sistemi di sorveglianza radar e monitor: le 12 postazioni di monitoraggio turche istituite nei mesi scorsi, dopo gli incontri di Astana con Teheran e Mosca, con l'obiettivo di controllare i movimenti di profughi verso il confine turco. Ankara teme ora un nuovo dramma umanitario. L'agenzia ONU per i rifugiati (Unhcr) ha avvertito che oltre due milioni di civili sono a rischio esodo verso il confine turco, attualmente chiuso.
Chi sono i ribelli di Idlib
Proprio il destino dei profughi rischia di essere uno dei temi principali dell'offensiva su Idlib. I dati forniti da Reach Initiative - risalenti a maggio 2018 - parlano di circa 1.200.000 sfollati interni presenti nella provincia, provenienti da diverse altre province tornate sotto il controllo di Damasco: Daraa, la Ghouta orientale, i dintorni di Damasco (Zabadani, Zakariya, Daraya), Aleppo est e Deir Ezzor. In totale, secondo i dati delle Nazioni Unite, nella provincia di Idlib - 750.000 abitanti prima della guerra - oggi vivrebbero 2,5 milioni di persone, di cui un milione di bambini, e almeno circa 50.000 miliziani appartenenti a diverse formazioni ribelli. La più importante è Hayat Tahrir Al Sham (HTS), coalizione ombrello legata ad Al Qaeda, nata dalla fusione di diverse sigle islamiste: si tratta di circa 10 mila uomini che controllano il 60% del territorio di Idlib, mentre la gran parte del restante 40% è in mano agli uomini del Fronte di liberazione nazionale, un gruppo vicino alla Turchia. Il Fronte è formato da diversi gruppi islamisti, come Ahrar Al Sham e le brigate Nureddine al Zinki, e da combattenti dell'Esercito siriano libero, con l'obiettivo di controbilanciare l'influenza di HTS, considerata una organizzazione terroristica dalle Nazioni Unite, che controllerebbe zone chiave della provincia, compresa la capitale e il valico di confine turco di Bab al Hawa.
Se il presidente americano Donald Trump ha avvertito attraverso un tweet che l'offensiva siro-russo-iraniana su Idlib sarebbe "un grave errore umanitario" é perché l'offensiva promette di avvenire su larga scala. La crisi umanitaria dipende essenzialmente dall'intensità e dall'estensione dei bombardamenti. Secondo il giornale online pro-governativo siriano Al Masdar, che cita fonti militari locali, i bombardamenti sono opera di una decina di Sukhoi dell'aviazione russa. Dimitri Peskov, portavoce del presidente russo Vladimir Putin, tiene a far sapere: "Da Idlib partono i droni dei ribelli che minacciano le nostre basi temporanee". E Damasco preme: il ministro degli Esteri siriano Walid Al Muallem nei giorni scorsi ha definito una "priorità" la riconquista di Idlib. Gli ha fatto eco il suo omologo russo, Sergej Lavrov, il quale ha ribadito che la Siria ha "diritto a liquidare la minaccia terroristica".
l'Onu chiede corridoi umanitari
Per l'inviato delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, "i terroristi devono essere sconfitti, ma non a costo di decine di migliaia di vite civili". Il diplomatico italo-svedese ha anche proposto due opzioni: temporeggiare in attesa di negoziati che possano condurre a soluzioni politiche (soluzione caldeggiata anche da Ankara); oppure permettere e facilitare un corridoio umanitario attraverso cui evacuare la popolazione civile in un'area più sicura (sotto controllo governativo). De Mistura ha quindi esortato Putin ed Erdogan, a negoziare per evitare "un bagno di sangue" e di telefonarsi, anche prima di incontrare la loro controparte a Teheran, venerdì.
L'Iran, attraverso il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, ha assicurato comunque che la riconquista avverrà "con il minimo costo di vite umane". Trump, da parte sua, è tornato a promettere un'immediata rappresaglia qualora venga attribuito un altro attacco chimico a Damasco. Ad aprile Usa, Gran Bretagna e e Francia avevano lanciato missili contro la Siria quasi una settimana dopo un presunto attacco chimico attribuito al governo su Duma, nella Ghouta Orientale, del quale avevano affermato di avere le prove. Assad aveva negato di aver utilizzato armi del genere.
Finora la guerra in Siria ha prodotto in 7 anni circa mezzo milione di morti, a cui si aggiunge lo sfollamento, all'estero o nei confini nazionali, di più di metà della popolazione siriana. Negli ultimi mesi Idlib è stata anche un rifugio per le formazioni ribelli (con i loro famigliari) provenienti da altre province, spesso in seguito ad evacuazioni concordate con Damasco. Di tutto questo si parlerà venerdì nell'incontro a Teheran, tra Iran, Turchia e Russia e in una seduta straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.