Anche Twitter ha deciso di prendere provvedimenti nei confronti di Alex Jones, il conduttore radiofonico di destra americano e teorico complottista, che negli ultimi tempi era entrato nel mirino di varie piattaforme social che lo avevano messo al bando o sospeso per aver diffuso discorsi d’odio e incitamento alla violenza.
Martedì pure il sito dei cinguettii ha dunque sospeso, ma solo temporaneamente, per sette giorni, il profilo di Jones. La decisione - riferisce il New York Times - sarebbe stata presa dopo che l’uomo ha twittato un link a un video (fatto via Periscope, l’app di video streaming acquisita da Twitter nel 2015) in cui incitava i sostenitori a prendere i propri “fucili da battaglia” contro una serie di presunti loro oppositori, inclusi i media mainstream. Per il social un simile video, con un esplicito incitamento alla violenza, viola le proprie regole. E il giorno dopo è stato sospeso per una settimana anche l’account di Infowars, il sito fondato e controllato dallo stesso Jones, per aver twittato il medesimo video.
Il complottista scaricato dalle piattaforme
Jones è considerato uno dei più prolifici complottisti d’America, ed è arrivato al punto di sostenere che la strage alla scuola elementare di Sandy Hook, in cui sono state uccise 26 persone (tra cui 20 bambini) sarebbe stata una montatura per limitare l’uso delle armi; e che addirittura i parenti delle vittime fossero dei “crisis actor”, attori pagati per simulare situazioni drammatiche. Ovviamente, alcuni di questi parenti hanno poi fatto causa a Jones. Ma al di là delle bufale e delle teorie disgustose o strampalate, è sull’incitamento all’odio che ora le piattaforme sembrano voler intervenire in modo più diretto.
Jones e Infowars erano già stati messi al bando da Apple, che aveva annunciato di eliminare i video di entrambi dalla sua app di podcast perché contenevano discorsi d’odio. E azioni analoghe erano state prese da YouTube, Spotify e Facebook (quest’ultima azienda aveva scelto una sospensione per 30 giorni). Twitter aveva finora resistito alle pressioni in tal senso, spiegando che Jones non aveva violato le sue regole. Ma martedì, con la motivazione della diffusione di quel video, ha infine preso una decisione, anche se temporanea e lieve. Il meccanismo della sospensione per un certo periodo è peculiare. Jones e Infowars restano infatti presenti sul social, ma non possono twittare o retwittare per il tempo in cui sono sospesi. Paradossalmente, notano alcuni, se alcuni tweet erano stati programmati in precedenza, gli account continuano comunque a pubblicarli.
Le mosse di Twitter
Twitter era stata criticata per non aver preso prima dei provvedimenti, specie dopo che la CNN aveva individuato alcuni tweet di Jones che sembravano chiaramente violare le policy dell’azienda. La reazione della stessa era stata di chiedere a Jones di rimuovere i tweet. La sospensione temporanea arriverebbe dunque dopo violazioni ripetute. E a sua volta ulteriori violazioni potrebbero portare a una messa al bando definitiva. Tuttavia non è chiaro come avvenga questo processo, quante violazioni e di quale tipo portino a questo genere di misura.
Jack Dorsey, Ceo e cofondatore di Twitter, in una intervista a NBC News proprio su Jones sembra voler sottolineare lo sforzo del social di essere un soggetto e una piattaforma neutrale. Allo stesso tempo, specifica, “sottoponiamo ogni account alle stesse regole”. Fatta eccezione però per personalità politiche di primo piano (come i capi di Stato) per i quali ci sarebbe un interesse pubblico, di notiziabilità. Tuttavia, sottolinea The Verge, Twitter starebbe considerando una serie di cambiamenti per cercare di ripulire le conversazioni da elementi inquinanti e mistificatori. Ad esempio, limitando la diffusione e l’influenza dei bot, degli account automatici, e distinguendoli dagli utenti reali; ma anche affiancando ai tweet contenenti bufale delle informazioni di contesto.
Il ruolo delle piattaforme
Il caso di Alex Jones ha comunque sollevato un ampio, tardivo e scivoloso dibattito sul ruolo delle piattaforme social, sulle loro eventuali responsabilità rispetto ai contenuti che veicolano, sui loro meccanismi di funzionamento e sulla trasparenza dei loro processi e delle loro decisioni. Ma anche sul confine tra libertà di espressione, discorsi d’odio e censura. Sebbene molti commentatori siano favorevoli alla messa al bando di Jones (che, al di là delle bufale, ha spesso pesantemente attaccato transgender, musulmani, immigrati e altre categorie di persone), resta la preoccupazione (qui un esempio di questo dibattito su The Intercept, dove sono espresse diverse posizioni) che le piattaforme social possano concentrare un potere eccessivo, arrivando autonomamente a regolare quello che è pubblicabile e quello che non lo è. Nello stesso tempo, la definizione di discorso d’odio non è così precisa e condivisa. E come abbiamo visto le stesse policy delle piattaforme sono poco chiare.