“La storia di Mosè è anche la mia storia”. Alla Bavarian State Opera questa frase l’hanno ripetuta in tante lingue. In tedesco, certo. Ma anche in inglese, francese, curdo e arabo. Persino in hazaragi, uno dei tanti dialetti dell’Afghanistan. E sopra uno dei palcoscenici più importanti della Germania, l’hanno recitata sia giovani attori che alcuni rifugiati in fuga da guerre e violenze. Due categorie che aspirano, in modo diverso, a costruirsi un futuro. Voci che hanno potuto raccontare una vicenda, vissuta in prima persona o fatta propria, attraverso una figura leggendaria e universale. Un mito comune alla Bibbia, al Corano e alla Torah. Quel Mosè che è, allo stesso tempo, liberatore di popoli, legislatore e guida. E simbolo di ricerca e speranza.
La natura dell’opera
La regista Jessica Glause, come racconta il New York Times, ha scritto il libretto di “Moses” dopo aver intervistato i rifugiati entrati a far parte del cast e trasformando le loro vicissitudini in energia, umorismo e fragilità. Un testo che, per volontà dell’autrice, si è da subito collocato agli antipodi rispetto a un semplice racconto didattico sulla crisi dei rifugiati in Europa e che ha deciso di parlare, con sincerità ed empatia, sia al pubblico in sala che agli stessi attori. Una storia che ha avuto, dietro le quinte, un altro grande potere: quello di far incontrare persone molto distanti tra loro, insegnando lingue e creando legami. “Un modo per rendere il processo di migrazione un po' meno doloroso”.
Se all’interno dello spettacolo ci sono monologhi sui singoli viaggi compiuti dai rifugiati per arrivare in Germania, il cuore della narrazione si concentra su quello che succede dopo. Cosa accade quando si cerca di riconciliare la propria fede e la propria cultura in una nazione come quella tedesca? Cosa succede quando i rifugiati che cercano asilo in Germania sono indicati come locuste che invadono un territorio non loro?
Quando un luogo di accoglienza può essere definito casa? Temi difficili che vengono dispiegati attraverso la forza delle parole e dell’auto-ironia. Una scelta che è stata apprezzata dal pubblico e che ha portato a una moltiplicazione di date e nuove rappresentazioni. Compresa l’ultima, a luglio, durante il Munich Opera Festival di luglio.
Una commistione di influenze
Anche i brani musicali sono caratterizzati da una grande mescolanza di autori. Da quelli presi in prestito dal “Mosè in Egitto” di Rossini alle melodie scritte dal musicista contemporaneo Benedikt Brachtel. Una commistione di passato e presente, di antico e moderno. Il connubio perfetto per raccontare l’universalità di vicende che, nella storia dell’umanità, sono sempre accadute. Musiche nelle quali si inseriscono da una parte degli interludi di matrice brechtiana e dall’altra le testimonianze dei viaggi compiuti dai rifugiati alla ricerca di una vita migliore.
Come quella di Ali Madad Qorbani, un giovane afgano fuggito in Iran, poi in Europa, dopo che suo padre era scomparso. Oppure quella di Zahra Akhlaqi, anch'essa originaria dell'Afghanistan, la cui madre è venuta in Europa per la prima volta mentre lei e sua sorella hanno aspettato in Iran, dove era proibito loro anche andare a scuola. Per entrambi oggi, anche grazie alla Bavarian State Opera, tra stage e percorsi di studi, qualcosa sta cambiando.
Il rifugiato scomparso divenuto personaggio
All’interno di questo cast, la realtà e la finzione si sono davvero fuse. Non c’è differenza tra vita e racconto. Lo dimostra la storia di Unity Okojie, un giovane ragazzo nigeriano che, ad un certo punto, ha deciso di abbandonare la compagnia per darsi alla macchia. Tutto dopo aver partecipato attivamente alla messa in scena dello spettacolo, in inverno.
Così la sua assenza, durante le repliche estive, è diventata parte integrante dell’opera. Esattamente come lo era la sua presenza. Il momento del suo ingresso in scena viene sostituito da quello di altri due attori che raccontano che cosa Unity avrebbe voluto dire e spiegando quanto sia instabile la vita per chi proviene dalle regioni subsahariane. Con una canzone, Unity’s school, dedicata al tema dell’integrazione e dell’assimilazione di tradizioni, passate e acquisite.
Nuova stagione, nuova opera
Mosè è stato il secondo atto di un percorso iniziato con un altro spettacolo, più incentrato sul tema del viaggio e della partenza. E con un altro personaggio religioso al centro della narrazione: Noè. Così, nella nuova stagione all’interno del programma della Bavarian State Opera, ci sarà ancora spazio per questo filone, con una terza opera.
Il tema, in questo caso, sarà estrapolato dall’opera The Creation di Joseph Haydn mentre le figure di riferimento saranno Adamo ed Eva. Pochi dettagli per un format consolidato e che funziona fuori e dentro il teatro. E che, a prescindere dai biglietti staccati, sarà comunque un grande successo di umanità.