Weibo censura i contenuti gay ma poi ci ripensa. Il 'Twitter cinese' aveva annunciato nei giorni scorsi la rimozione dal web di contenuti omosessuali, in linea con le recenti direttive del governo contro la pornografia (conseguenza della famigerata legge sulla cybersecurity), ma la furente reazione della comunità LGBT costringe la società a un repentino passo indietro: i gay di Pechino puntano il dito contro quello che considerano un atto di diffamazione – “gay non è porno” - minacciando un terremoto in Borsa.
Tutto ha inizio venerdì scorso, quando Sina Weibo, la principale piattaforma di microblogging cinese che conta 392 milioni di utenti, vessata negli ultimi anni dalla concorrenza di WeChat (sviluppata da Tencent e popolarissima in Cina e in continua ascesa, con nuovi investimenti che spaziano dal settore delle auto elettriche ai videogiochi), rende pubblica la decisione di rimuovere i contenuti pornografici, tra cui video, articoli, cartoni animati “violenti e a sfondo omosessuale”, nell’ambito di una campagna di tre mesi che punta a “purificare” l’informazione online.
Nel mirino, fumetti e manga che hanno come oggetto relazioni omosessuali tra uomini. La campagna, sottolinea la nota pubblicata da Sina, punta a creare un “ambiente online pulito e armonioso” ed è “basata su leggi e regolamenti, quali la legge sulla cybersecurity”. Tra le novità di questa nuova legge, l’obbligo, da parte degli operatori di infrastrutture informatiche, anche straniere, di immagazzinare “informazioni personali e dati vitali” per la Cina “raccolti e prodotti in Cina”. Era già accaduto nel luglio del 2016, a un anno e mezzo dal XIX Congresso del Pcc, quando venne imposto alle piattaforme video online – come Youku e Tencent – la rimozione di tutti i contenuti a tema LGBT.
I primi a farne le spese sono i fan di Marvel, che si sono visti bloccare alcuni popolari hashtag come “Thorki” e “Stucky”, in riferimento ai personaggi gay creati dalla nota casa americana: “Thor/Loki” e “Steve Rogers/Bucky Barnes”, rispettivamente.
Sei ore dopo l’annuncio, The Voice of Gay, magazine di punta con oltre 220mila follower su Weibo, rende noto che sospenderà la pubblicazione per “cause di forza maggiore”.
Alle 18:55 dello stesso giorno, Sina annuncia di aver già “rimosso 56.243 post irregolari, e oscurato 108 account e 62 topic”. Nel solo mese di marzo, la società aveva cancellato oltre 1.3 milioni di post, bloccando circa 85mila account giudicati fuori legge. In ottemperanza con le medesime leggi.
Alle 2 del mattino di sabato, la nota era stata condivisa 90mila volte, ricevendo 20mila commenti, scrive il Quotidiano del Popolo; condivisioni e commenti rapidamente rimossi.
Ruggisce la comunità LGBT (sigla che riunisce Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). Nel giro di poche ore, l’indignazione dilaga sul web; gli utenti inondano i social di foto che li ritraggono con il partner, emoji dell’arcobaleno accompagnati dall’hashtag #iamgay and #iamgaynotapervert, che ottiene 300 milioni di visualizzazioni prima che anche su esso cada la scure della censura. Domenica, l’agguerrito gruppo basato a Pechino, PFLAG (Parents, Families and Friends of Lesbians and Gays), chiede agli azionisti di Sina di cedere le azioni della controllata quotata a Nasdaq. Non solo. La scrivania del Ceo, Charles Chao, si riempie di centinaia di lettere di gay che raccontano la loro storia.
Una donna di Shanghai pubblica un post che ottiene 55mila like: “Mio figlio è omosessuale – scrive - amiamo il nostro Paese, ovunque andiamo diciamo con orgoglio che veniamo dalla Cina…ma oggi…all’improvviso realizzo che in un Paese così forte, Sina Weibo discrimina e attacca questa minoranza sessuale”.
In molti invocano la costituzione e la legge a tutela delle minoranze; un utente cita l’articolo 38 della carta costituzionale che stabilisce che la “dignità personale” dei cittadini cinesi è “inviolabile”.
Scatta il dietrofront: Sina rimuove il bando. Non è chiaro, scrive il South China Morning Post, se la mossa fosse una iniziativa della società o il risultato di pressioni governative; raggiunta per un commento dal quotidiano di Hong Kong, Sina non ha risposto.
Il Quotidiano del Popolo, organo del Partito Comunista Cinese, in un articolo apparso domenica si schiera a favore della tolleranza nei confronti degli omosessuali, sottolineando al tempo stesso che i contenuti “volgari” debbano essere rimossi a prescindere dall’orientamento sessuale. Forte la preoccupazione delle organizzazioni LBTG, che invece denuncia un’intolleranza crescente verso la comunità, bersaglio della censura che reputa “sporchi” i contenuti omosessuali, facendo dell’erba un discriminante fascio.
L’omosessualità in Cina è stata depenalizzata nel 1997 e dal 2001 non è più considerata malattia mentale. Ma è con fatica che la cultura gay si fa spazio in una società dominata dai valori della tradizione confuciana, dove i diritti degli omosessuali vengono facilmente soggiogati dalle pressioni sociali; nella visione maistream le coppie migliori sono quelle eterosessuali che si sposano presto e fanno figli, spiega il capo del centro LGBT di Pechino, Xiao Tie. La Cina vieta i matrimoni gay e le adozioni da parte di coppie omosessuali. L'anno scorso Taiwan ha legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
L’anno scorso, una donna di nome Hao Kegui, fece coming out raccontando in una lettera aperta come fosse stata costretta a sposare un uomo per non deludere i genitori. Secondo un sondaggio condotto nel 2016 dalle Nazioni Unite, in Cina solo il 15% degli omosessuali ha confessato ai genitori il proprio orientamento sessuale, e solo il 5% lo ha dichiarato pubblicamente. Il resto, si nasconde.
La reazione fulminea alla mossa di Sina Weibo riflette una crescente maturità e sicurezza della comunità omosessuale cinese, dice la nota femminista Lu Pin, fondatrice di Feminist Voices, il cui account su Weibo e Wechat, 181 mila follower, è stato di recente bersaglio della censura. L’attivissima comunità di Shanghai ha aiutato giovani omosessuali a organizzare viaggi di riconciliazione con le famiglie; crescono le quote gay nelle aziende.
La normativa promulgata nel giugno del 2017 dalla China Netcasting Service Association, organizzazione non governativa gestita dall’Amministrazione Statale per le Pubblicazioni, la Stampa, la Radio, i Film e la Televisione (Sapprft, ente di regolamentazione del settore), vieta ai provider la pubblicazione di contenuti che “presentano relazioni o comportamenti sessuali anormali”, quali incesto, relazioni omosessuali e violenza sessuale, spiega il Quotidiano del Popolo.
Weibo aveva già risentito della stretta delle leggi anti-rumors del 2013, che vietano di postare on line informazioni non verificate, prevedendo pene fino a quattro anni di carcere, nel casi più gravi, stabiliti in base al numero di retweet e al numero di followers sulla piattaforma on line. Il giro di vite su internet ha pesato non poco, e nel 2014 Weibo aveva registrato un calo degli utenti quantificato in 56 milioni di account. Negli stessi anni, Wechat ha preso sempre più piede.