Di cinque giorni in cinque giorni la Francia rinnova la sfida. O, meglio, una certa idea della Francia, quella rappresentata dalla potente categoria dei ferrovieri: dall’Ottocento simbolo del progresso e di un paese unito e rapido, efficiente e veloce. Ma anche comparto molto sindacalizzato, che ha ben chiari i suoi diritti acquisiti. Quelli che Emmanuel Macron intende toccare, perché in qualche caso è all’Ottocento che essi risalgono.
I sondaggi sembrano dimostrare che il francese medio, questa volta, sta dalla parte dell’Eliseo, anche se il suo inquilino da settimane si dibatte nelle acque basse di un indice di gradimento sotto il 50 percento. Del resto il Paese è anche fatto di tanti pendolari, che non amano l’interruzione del servizio ferroviario, e di dipendenti che andranno in pensione non prima dei 62 anni, mentre i dipendenti della Sncf, le Ferrovie dello Stato d’oltralpe, ci vanno dieci anni prima. E di questi tempi a 52 anni si è ancora giovani.
Detta così, la faccenda potrebbe risolversi in tempi rapidi e modalità positive per il governo. La realtà è molto più complessa, perché gli scioperi dei ferrovieri stanno assumendo un valore politico, si stanno trasformando in un messaggio al Presidente liberista da parte di un elettorato che un anno fa lo percepiva come esponente di un centro staccato dalla sinistra, ed oggi come un esponente della destra.
Uno spostamento non gradito da tutti. Il fronte degli scioperanti del resto si è andato quindi allargando: ai ferrovieri si sono uniti i dipendenti pubblici, ed a questi i lavoratori dell’Air France.
Una serie di scioperi a scacchiera dei vari comparti bloccano un giorno una parte, un giorno l’altra del sistema paese francese, che non viene paralizzato ma sottoposto ad una serie di bordate. Quella più grande arriverà il 19 aprile, se dovesse essere accolta la proposta della Cgt, il sindacato della sinistra.
E non si tratterà dell’atto finale della contestazione: al momento la promessa e di continuare fino alla fine di giugno: due giorni di sciopero ogni cinque. Il che fa almeno 35 giorni di protesta già fissati sul calendario. Il 3 e 4 aprile, al debutto dell’iniziativa, quasi l’80 percento dei ferrovieri ha aderito all’astensione dal lavoro, con il conseguente caos nelle stazioni e nelle strade provinciali e statali, dove i pendolari si erano riversati a bordo delle automobili di proprietà.
Resta poi da vedere che ne sarà dell’incipiente rivolta nelle università: il fronte studentesco non si è ancora saldato con quello delle categorie dei lavoratori, ma la cosa non è per nulla da escludere, anche perché i primi tafferugli, con tanto di feriti, si sono già verificati. A Parigi (alla Sorbona) e in provincia (a Montpellier, facoltà di giurisprudenza).
Gli ottimisti, nei ranghi della sinistra, già vedono il ripetersi delle manifestazioni che nel lontano 1995 portarono alle dimissioni dell’allora primo ministro Alain Juppè, ai tempi in cui la Francia stringeva la cinghia per riuscire a soddisfare tutti i parametri per l’ingresso nell’euro. Un’eventualità che al momento pare ben lontana, anche perché per arrivare a Macron bisognerebbe prima passare per il cadavere politico del primo ministro Philippe (nel ’95 il presidente era Chirac, e fu per l’appunto Juppè a fare le spese degli scioperi).
Più preoccupante, per l’Eliseo, il fatto che quegli scioperi ebbero l’effetto di erodere definitivamente il consenso per lo stesso Chirac, che pure lo stesso anno aveva vinto le elezioni presidenziali. Le politiche successive si tennero un anno prima della scadenza naturale del mandato, e videro – nonostante i sondaggi sul gradimento di Chirac – la vittoria di un partito fino ad allora dato pere moribondo. Era il Partito Socialista.