Una manciata di giorni è bastata a mutare radicalmente l’idea dei social che il mondo globalizzato si era costruito in anni ed anni: da strumento di sviluppo e vicinanza a possibile arma contundente in mano a grandi fratelli pronti a manipolare il pensiero di ognuno.
Le rivelazioni di Wylie
Tutto comincia lo scorso sabato, quando il settimanale britannico The Observer pubblica le rivelazioni di un nerd che ha lasciato una società inglese di cui poco si era sentito parlare in precedenza, la Cambridge Analytica, le cui attività si sono spesso andate ad incrociare con Facebook.
L’uomo, Christopher Wylie, riferisce di come un accademico chiamato Aleksandr Kogan sia stato in grado, con la sua azienda, di raccogliere dati su dati di comuni cittadini grazie ad un questionario su Facebook per poi girarli a Cambridge Analytica. I titolari dei dati erano del tutto ignari della vera natura dell’operazione, e dell’uso che ne sarebbe stato fatto.
Giochi disonesti
Un canale privato, Channel 4, mette in onda un documentario in cui due suoi giornalisti si fingono aspiranti politici dello Sri Lanka, si recano nella sede di Cambridge Analytica per ingaggiare la società nella presunta campagna elettorale. Incontrano i vertici e registrano conversazioni, da cui emerge la prassi di ricorrere a raccolte illegali di dati, tecniche altrettanto illegali di demolizione dell’immagine dei candidati avversari, persino l’utilizzo di prostitute. C’è chi si vanta di aver preso parte alla campagna presidenziale americana del 2016 dalla parte di Donald Trump, mettendo su operazioni denigratorie contro Hillary Clinton. Ci sarebbe stata persino la raccolta illegale dei dati di 50 milioni di cittadini americani per orientarne le scelte elettorali in modo subliminale. Sandy Parakilas, già responsabile tra il 2011 e il 2012 del settore di Facebook preposto a tutelare la privacy dei dati, ammette che i vertici dell’azienda erano stati da lui avvertiti dell’esistenza di falle nel sistema, e che altre società oltre a Cambridge Analytica erano riuscite ad avere accesso ai dati degli utenti.
Sembra la Spectre, ma è la realtà
Si scopre così in Cambridge Analytica una società con enormi ramificazioni nei principali paesi mondiali, pronta ad influenzare dietro pagamento l’esito delle elezioni nelle più importante democrazie avanzate occidentali. In Italia, si legge sul suo sito, avrebbe collaborato con un non meglio identificato partito con un passato di successi negli anni ’80 (definizione ben poco chiara). Negli Stati Uniti ha come interlocutore la famiglia Mercer, dinastia di miliardari ultraconservatori che nel 2016 hanno gettato il loro peso dalla parte di Trump. Nel Regno Unito sono appurati i suoi legami con la Global Science Research di Kogan, che a sua volta ha avuto in passato contati e contratti con lo stesso governo britannico. Avrebbe, inoltre, svolto un ruolo nel corso della campagna prima del referendum inglese sulla Brexit, vinto da quanti proponevano l'uscita dall'Unione Europea.
Le rivelazioni spingono il procuratore indipendente americano che indaga sul Russiagate, Robert Mueller, ad acquisire una serie di elementi a riguardo. A Londra il Parlamento chiedono che venga ascoltato in commissione lo stesso fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, che dal momento dell’esplosione del caso si è trincerato dietro un assoluto silenzio. Lo stesso chiede il Parlamento Europeo, a Strasburgo. Le autorità australiane ingiungono a Facebook di far sapere immediatamente se vi siano loro concittadini rimasti vittima della raccolta illegale di dati. Di nuovo in America sempre Facebook è al centro di un’inchiesta avviata dalla Federal Trade Commission, mentre i procuratori generali degli stati di New York e Massachussetts aprono due fascicoli. In California parte una class action.
La timida risposta di Zuckerberg
Il fondatore del social media più diffuso del mondo resiste nel suo silenzio per alcuni giorni. Poi, sotto la pressione degli eventi e le prima cancellazioni di massa da parte degli utenti, promosse dal movimento #DeleteFacebook, accetta di rilasciare alcune interviste e posta un lungo messaggio sul suo profilo. In sostanza si dice dispiaciuto per la fuga di dati riservati e per la “ferita inflitta alla fiducia” riposta in lui e nella società. “Abbiano accettato la responsabilità di proteggere i vostri dati”, aggiunge, “e se non siamo in grado non siamo degni di lavorare per voi”. Intanto il titolo è crollato in borsa, bruciando miliardi e miliardi di dollari. Una settimana prima il mondo dei social era profondamente diverso.