Quando la voce dei muezzin risuona dai minareti non è tempo di preghiera a Douma, e i bambini tornano nel buio. È il segnale che stanno tornando i caccia, che pioveranno nuove bombe, che moriranno altre persone. Così vive la più grande città nel territorio di Ghouta, nella periferia di Damasco, da diverse settimane.
"Non smettono di bombardarci, abbiamo poche ore di tregua per cercare di recuperare dalle macerie i superstiti e ogni volta rischiamo di essere colpiti di nuovo. Non ci sono ospedali, non abbiamo medicine, i sopravvissuti sono condannati a morire dissanguati. In questa terra dove sono nato ho visto e toccato con mano l'orrore di questo mondo", racconta all'AGI l'attivista umanitario, Emad Wafa, che per anni ha vissuto in Italia prima di decidere di rientrare nella terra natia appunto per aiutare le persone in difficoltà.
"Ci sono bambini che non vedono la luce del sole da settimane. Sono chiusi nei sotterranei con le loro famiglie, con pochissima acqua e senza cibo. I servizi igienici sono inesistenti. Alcuni di loro sono nati e cresciuti nell'assedio, in una eterna prigione. Hanno difficoltè di deambulazione, di relazione, vivono un terrore costante", prosegue.
Ogni volta che qualcuno esce per strada in cerca di qualcosa da mangiare rischia di morire sotto i missili del regime siriano che sta bombardando la periferia di Damasco incessantemente dal 18 febbraio scorso. "Sono qui dalla fine del 2012, da quando è cominciato l'assedio. Qua c'è bisogno di tutto, l'elettricità manca da sette anni, non ci sono più mercati, l'acqua è rimasta solo nei pozzi", spiega Wafa. E non è facile nemmeno aiutare gli altri. "Buona parte della mia famiglia è in prigione, mio padre è stato portato via dagli uomini di Assad e non sappiamo che fine abbia fatto".
Nelle ultime settimane la situazione è peggiorata drammaticamente. "La sede della nostra associazione, la Douma Society, è l'unica rimasta in piedi in tutta la zona. Siamo circondati da palazzi rasi al suolo. Camminiamo sulle macerie".
Il bilancio delle vittime si aggrava ogni giorno. Almeno novecento i civili uccisi nelle ultime tre settimane. "Avevamo una scuola per orfani che ora abbiamo trasformato in rifugio che ospita una trentina di famiglie. Non abbiamo abbastanza cibo per tutti, serviamo ogni giorno la zuppa con tanta acqua. È l'unico modo che abbiamo per cercare di fare durare il più possibile le poche scorte". La catastrofe di Ghouta, a pochi chilometri dalla capitale siriana Damasco, è rappresentata in particolare dalla sofferenza dei piccoli.
"Purtroppo sono almeno quattro i bambini, già orfani, che abbiamo perso negli ultimi giorni. Ci sono bimbi di pochi anni che sono rimasti soli, unici sopravvissuti in tutta la famiglia. Molti vorrebbero tornare nella propria casa a cercare i genitori". Wafa lancia un appello anche all'Italia: "Non si può non intervenire, vorrebbe dire abbandonare i valori dell'umanità e condannare 400 mila persone alla morte".