L'esercito turco è deciso a strappare Afrin, l'enclave nel nord della Siria, ai curdi siriani che, guidati dalla milizia dell'Unità di protezione popolare (Ypg) non hanno alcuna intenzione di ritirarsi e dichiarano la mobilitazione generale chiamando alle armi tutta la popolazione. Al quarto giorno dell'operazione "Ramoscello d'ulivo" il bilancio delle vittime, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, è di 108 morti: 80 militari e 28 civili. Tra l'esercito di Ankara sono invece due i caduti annunciati dal ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu. Meno infuocato è il fronte diplomatico con gli Stati Uniti che si limitano a chiedere "moderazione", l'Ue che esprime "preoccupazione" e il Consiglio di sicurezza dell'Onu che si è riunito ieri senza però emettere alcuna condanna. La Russia sembra invece voltarsi dall'altra parte per tutelare il prezioso accordo per la seconda linea del Turkish Stream raggiunto il 19 gennaio scorso, qualche ora prima del lancio dell'offensiva turca su Afrin, che con un nuovo gasdotto permetterà a Mosca di fare arrivare il proprio metano in Turchia, e nell'Europa meridionale, passando per il Mar Nero e aggirando così l'Ucraina.
Il terreno di battaglia
Afrin rappresenta un nuovo fronte di battaglia nella Siria dilaniata da una guerra civile che dura dal 2011 e che finora ha causato oltre 340mila morti e milioni di sfollati. A respingere l'attacco dei turchi ci sono i curdi dell'Unità di protezione popolare, sostenuti dagli Stati Uniti nella battaglie contro il califfato, che Ankara identifica come minaccia per la propria nazione in quanto ritenuti braccio siriano del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) con cui è in guerra dal 1984.
Sul terreno, "la resistenza e la lotta curde sono molto violente su tre fronti: nord-est, nord-ovest e sud-ovest di Afrin", ha dichiarato il direttore dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, Rami Abdel Rahman. Le forze filo-Ankara erano riuscite lunedì a prendere il controllo della collina strategica di Barsaya, nel nord della regione di Afrin, prima di perderla qualche ora dopo. Di fronte all'offensiva, le autorità locali di Jazire', uno dei tre territori controllati dalla YPG in Siria (con Afrin e Kobane), hanno dichiarato la "mobilitazione generale" per "difendere Afrin". "È una esortazione a tutti i curdi in Siria a prendere le armi", ha aggiunto un portavoce curdo.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invece ribadito, durante i funerali del primo soldato ucciso, che le operazioni militari turche "andranno avanti fino alla vittoria", aggiungendo che "grazie a Dio noi usciremo vittoriosi da questa operazione, insieme al nostro popolo e all'Esercito siriano libero". L'offensiva militare è accompagnata da un giro di vite in Turchia contro i sospettati di "propaganda terroristica" a favore di curdi sui social. Quasi cento persone sono state arrestate da lunedì e le dimostrazioni contro l'operazione sono proibite.
Il fronte diplomatico
La Turchia ha lanciato la sua operazione dopo l'annuncio da parte della coalizione internazionale anti-jihadista guidata dagli Stati Uniti della creazione di una forza di confine di 30mila uomini nel nord della Siria, che comprenderà i combattenti curdi dell'Ypg.
Gli Stati Uniti hanno invitato quindi la Turchia a mostrare "moderazione" nella sua offensiva. "La violenza ad Afrin sta offuscando quella che prima era un'area relativamente stabile in Siria", ha detto il segretario alla Difesa statunitense, James Mattis ai giornalisti durante la sua visita in Indonesia. E ha chiesto ad Ankara "di mostrare moderazione nelle operazioni militari e nella retorica" che accompagna le azioni sul campo. Una delegazione americana si è recata oggi ad Ankara per discutere dell'offensiva. A guidarla c'era il vice segretario per gli Affari Eurasiatici Jonathan Cohen. "Siamo pienamente consapevoli delle preoccupazioni per la sicurezza della Turchia, nostro alleato nella Nato e nalla coalizione, e invitiamo tutte le parti ad evitare l'escalation e concentrarsi sulla lotta contro l'Isis, che è un minaccia comune per noi", ha sollecitato il portavoce del Pentagono, Adrian Rankine-Galloway.
Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, in un'intervista rilasciata al quotidiano locale Haberturk ha detto che "il futuro delle relazioni con gli Stati Uniti dipende dai loro prossimi passi". "Per quanto mi riguarda, sto facendo quello che devo fare, altrimenti il mio Paese sarebbe in pericolo" ha detto il ministro, "non abbiamo paura di nessuno: se dobbiamo morire, moriremo, ma non vivremo nella paura". Cavusoglu ha aggiunto che il compito della Turchia "non è quello di affrontare la Russia, la Siria o gli Stati Uniti, ma combattere il terrorismo. Non importa, se ad Afrin, a Manbij, a est dell'Eufrate o anche nel nord dell'Iraq, se lì ci sono terroristi, allora rappresentano per noi una minaccia". L'Unione Europea si è detta "estremamente preoccupata", mentre il Qatar, vicino ad Ankara, ha espresso il suo sostegno all'offensiva.